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Editoriale

VOTO CATTOLICO E COMUNITÀ

GIAMPAOLO COTTINI - 01/02/2013

Particolare dal “Buon Governo” di Lorenzetti, Siena Palazzo Pubblico

Questa campagna elettorale sta sempre più evidenziando la distanza tra le esigenze reali della gente e una classe politica preoccupata più delle possibili alleanze che di realizzare un chiaro progetto di governo dell’Italia in grado di ricostruire un tessuto sociale lacerato. Come ha recentemente ricordato il Card. Bagnasco, “c’è in giro una notevole confusione, perché si pensa che la realtà sia superata, che nessuna verità esista, ma se ciò è vero allora tutto diventa questione di potere”.

Il disorientamento aumenta a seguito dei quotidiani scandali e delle rinnovate inchieste giudiziarie, che sembrano accreditare solo l’idea di un potere senza controlli, proprio mentre tutti paghiamo i pesanti sacrifici imposti dalla crisi senza la speranza di prospettive reali. In questo clima politico i grandi assenti rischiano, però, di essere proprio i cattolici, nonostante la Chiesa raccomandi loro l’impegno di una presenza (naturalmente senza indicare in quale formazione); anche il comune riferimento ai cosiddetti principi irrinunciabili o valori non negoziabili rischia di essere più formale che operativo, e pare non riuscire ad identificare su quali forze far convergere un voto coerente.

Quel che più manca è un senso di appartenenza capace di tradursi anche in una scelta culturale e politica a favore della vita buona di tutti, che promuova quei valori fondanti come l’unità della famiglia fondata sul matrimonio uomo-donna, il diritto alla libertà religiosa e alla libertà di educazione, il principio di sussidiarietà, il diritto al lavoro, la difesa della vita dall’inizio alla fine; con il risultato di attendere sostanzialmente dallo Stato la soluzione dei problemi, dimenticando invece il significato dell’appartenenza a quei legami costitutivi che legano la persona alla società, e che la dottrina sociale della Chiesa chiama comunità intermedie (dalla famiglia alle varie forme di aggregazione in associazioni, gruppi, movimenti), così come anche la Costituzione espressamente riconosce all’articolo 2.

È inquietante, a questo proposito, la motivazione addotta da un’indagine giudiziaria con arresti di alcuni esponenti della Compagnia delle Opere di Saronno, che attribuisce l’origine dei reati da accertare all’appartenenza degli inquisiti a questa associazione di imprese (vicina al mondo di Comunione e Liberazione): sarebbe questa comune appartenenza a giustificare comportamenti delittuosi, senza necessariamente implicare scambio di denaro, solo perché questi si radicano in un “comune sentire” che non ha prezzo. In sostanza l’appartenenza, in quanto fondata su convinzioni profonde, sarebbe fonte di un “sistema” di corruzione e di privilegi per coloro che vi aderiscono ben più pericoloso di un’associazione a delinquere fondata sullo scambio di denaro. Insomma, la forza del legame sarebbe la causa prima degli atteggiamenti illeciti.

A prescindere dal caso concreto, su cui faranno luce le indagini circa la responsabilità dei singoli, è preoccupante se si configurasse la fattispecie di una sorta di “reato di appartenenza” come radice di comportamenti censurabili. Il riconoscimento di valori fortemente identitari, persino l’amicizia, potrebbe essere censurata, convincendo quasi l’individuo a rinchiudersi nella prigione dell’individualismo come difesa da ogni sospetto, in un rifiuto di impegno pubblico che, se applicato all’esperienza religiosa, ci riporterebbe a prima dell’Editto di Costantino. Il pericolo è di un tale attacco frontale alla libertà di associarsi da poter creare un clima intimidatorio che conduca alla paura di dichiarare pubblicamente chi si segue o di chi ci si fida, giungendo ad amputare l’io di quella originaria dimensione comunitaria che lo costituisce, in nome della tutela di un’astratta quanto impossibile omologazione garantita dalle istituzioni pubbliche.

E qui sta forse una delle sfide fondamentali contenuta nelle prossime elezioni, che come ha ricordato ancora il Card. Bagnasco, è di tipo antropologico prima che economico: “La madre di tutte le crisi è l’individualismo. E questo è figlio della cultura nichilista per cui tutto è moralmente equivalente, nulla vi sarebbe di oggettivo e di universale valido e obbligante. È questo il tarlo più o meno mascherato che sta modificando dal di dentro gli assetti dell’orientamento comune e delle prassi sociali. Nel suo congenito utilitarismo, l’ideologia individualistica concepisce «la persona come un essere fluido, senza consistenza permanente», per la quale non c’è una natura precostituita, ma è il soggetto a crearsela”. Da qui, infatti, nasce l’attuale socialità debole e la confusione politica, come dimostra il sostanziale disinteresse dei partiti per quel primario luogo di appartenenza che è la famiglia (ad eccezione del modello lombardo impostato tutto sulla sussidiarietà e quindi sul potenziamento delle comunità intermedie).

Per cui occorre porre attenzione che dietro agli slogan del riformismo o del salvataggio economico del Paese non si nasconda in realtà l’attacco più o meno cosciente al reale bene comune, che passa attraverso quella risorsa essenziale alla coesione della società che è data dall’appartenenza. Il caso della famiglia è evidente quando si cerca di legittimare forme diverse di unione con ideologie antifamiliari o simil-familiari, che vorrebbero ridefinire la famiglia e il matrimonio mutando l’alfabeto naturale e istituendo modelli alternativi che la umilierebbero alimentando il disorientamento educativo”. Ma è solo un esempio per dire che i cattolici in politica non sono chiamati a scegliere il volto più simpatico o il personaggio più convincente, quanto piuttosto a cercare realisticamente il tipo di società più conforme all’immagine di uomo offerta dalla Dottrina Sociale Cattolica.

Concludendo, senza il primato dell’uomo non solo la finanza e l’economia diventano oppressive perché ridurrebbero la persona in termini di costi e ricavi, ma anche lo stato sociale nascerebbe su basi anguste e riduttive. Ma se è vero che “libertà è partecipazione” è tempo che i cattolici tornino a testimoniare (anche con lo strumento limitato del loro voto) la possibilità di un lavoro di riaggregazione, certi che “La verità per noi è più importante della derisione del mondo” (Benedetto XVI).

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