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Editoriale

NEL TEMPO DEI VOTI

MASSIMO LODI - 22/02/2013

Tempo di voti. Voto 1. Tostissime dissertazioni si esercitano in pronostici sul Papa che verrà. Argomentano di geopolitica, di correntismi curiali, di astute sottigliezze. Roba di materialissimo potere, l’elezione del nuovo pontefice. Quasi di second’ordine, a dar retta ai riservati conversari riportati dai media, la figura umana del futuro vicario di Gesù. Il suo profilo individuale. Lo spirito del tempo ch’egli esprime. Eppure dovrebbe essere questo il valore fondante della scelta. Come il predestinato ha vissuto, come si pensa che vivrà. Cioè quale esempio carismatico ci ha concesso, di quale esempio assicura la continuità.

Naturalmente garantisce il tradizionale apporto lo Spirito Santo, assiduo nell’essere influente dentro la Cappella Sistina al momento della scelta finale. Ma lo Spirito Santo (absit iniuria) andrebbe un po’ più aiutato facendosene un po’ meno aiutare. In fondo è l’indicazione data da Benedetto dimettendosi: dare un segnale forte per riceverne altri d’eguale timbro. L’umile povertà di comprensione del popolo in ambasce (di noi tutti turbati), non individua maggiori ricchezze di contenuto nel gesto papale.

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Tempo di voti. Voto 2. È lontana l’epoca in cui folle di puntigliosi distinguisti separavano l’etica dalla politica, condannando a un ideale e benvenuto rogo quanti ne dichiaravano la necessaria (provvidenziale) commistione. Adesso ch’è il momento delle elezioni nazionali e regionali, non circola proposta politica esente dall’indoramento etico. In alcuni casi, un bolsismo retorico, sopravvenuto dopo le vergogne d’un inguardabile passato; in altri, una consequenzialità logica dopo tanto prodigarsi per una causa di giusta ovvietà. Il rispetto verso l’intelligenza degli elettori (dei lettori) sconsiglia dall’entrare in dettagli esemplificativi, tanto è chiaro chi abbia fatto che cosa e chi non abbia fatto nulla. O, se l’ha fatto, come lo abbia fatto: con quali risultati, con quali danni. Guardando al dopo, oltre che al prima: si dice (ed è quasi vero) che i programmi sono – o almeno sono diventati, da differenti che erano – tutti uguali. Ma sono diversi gl’interpreti di questi programmi. Le persone. Ecco, nell’eventuale imbarazzo d’urna, l’uscita di sicurezza è rappresentata dalla scelta della persona: che cosa il suo percorso individuale racconta, che cosa la sua credibilità garantisce, che cosa i suoi dimostrati valori assicurano. Per esagerare: che cosa il suo progetto di vita promette. Abbiamo ancora la romantica idea che esistano progetti di vita, e siano esportabili da un io a un noi.

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Tempo di voti. Voto 3. Più che l’evidenza dell’improponibilità d’un megapolo pediatrico al Del Ponte di Varese separato irrazionalmente dall’ospedale di Circolo – un nonsenso tecnico professionale oltre che urbanistico politico – colpisce lo sbrigativo autoritarismo con cui si liquidano le obiezioni all’idea. L’argomentare (sindaco e direttore generale dell’ospedale in testa) recita come segue: siccome si decise così, non si può ritornare indietro. Ma chi l’ha detto che non lo si possa fare? E perché negare a priori la possibilità d’aver sbagliato, e l’interesse pubblico a rimediarvi fin che il danno non sia completo? Infine: che cosa induce a pensare che i perplessi siano mossi da un complotto elettorale, quando i dubbi sono nati assai prima che la data delle elezioni fosse fissata? E quale prudenza vieta a un referendum consultivo tra i cittadini – a costo zero se effettuato via internet – d’esprimere un orientamento (un aiuto) sulla materia di cui più gl’importa, cioè la salute?

La politica fatica a capire che l’amore per la propria città – per il suo presente, per il suo futuro – possa essere l’unico motore d’una contestazione civile, motivata, tenace. Non si fatica peraltro a capire la politica. Questa deludente politica, distante dalla non politica al punto da individuarla come antipolitica senz’accorgersi di aggiungere, così facendo, errore a errore.

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