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Opinioni

IL PD CHIUSO NEL SUO RECINTO

GIUSEPPE ADAMOLI - 01/03/2013

Illustrare il risultato elettorale è facile, spiegarne il perché è arduo.
Ha vinto Grillo. Berlusconi ha fatto un gran recupero ma ha perduto una caterva di voti (16%). Monti con una campagna elettorale sbagliata ha lasciato sul campo una parte della sua credibilità personale. Il PD esce sconfitto nell’obiettivo dichiarato di assicurare la governabilità del Paese ed è controproducente indorare la pillola. Ha perso l’8% rispetto a cinque anni fa e non ha saputo capitalizzare una serie di circostanze assolutamente favorevoli.

Quasi incredibile il fatto che la coalizione PD-SEL abbia ottenuto l’enorme premio di maggioranza alla Camera ma solo per un soffio su PDL-Lega che avevano portato l’Italia al disastro.

Sentivo che il PD al Senato non ce l’avrebbe fatta ma credevo che con Monti avrebbe raggiunto la maggioranza e così non è stato. Come mai questa delusione ove si pensi dov’era il PD dopo le primarie e com’era ridotto il PDL solo un paio di mesi fa?
La recessione con i suoi effetti pesanti sul lavoro, nonché il rigore e l’austerità del governo, hanno inciso negativamente sul PD che era la prima forza del Paese e il vero fattore di tenuta sociale, come dice giustamente Bersani. I cittadini non hanno pienamente percepito (problema di comunicazione ed empatia) che il PD avesse le risposte giuste per il dramma di molte famiglie in reale impoverimento.
Il governo ha fatto la riforma delle pensioni ma i partiti hanno rinviato (compito a essi affidato) provvedimenti simili a carico di tutto il ceto politico. La coalizione granitica con SEL ha messo insieme due partiti che avevano litigato fortemente durante tutto il governo Monti. Vendola, sganciato dal PD, avrebbe preso più voti. L’alleanza avrebbe potuto essere realizzata dopo le elezioni. Sarebbe stata la scelta migliore. Il PD ha dato la sensazione di rinchiudersi nel suo tradizionale recinto quasi non cercando più il consenso dei tanti delusi di Lega e PDL.

C’è poi una considerazione amara, che ho tralasciato in campagna elettorale, ma che riprendo oggi: è finito il tempo post comunista e post DC. Nemmeno un nuovo Prodi, erede di quella tradizione, avrebbe fatto meglio di Bersani. Il Paese ha voltato pagina, il PD solo parzialmente. Questo significa che il PD deve cambiare il modo come è strutturato e modificare il linguaggio politico per parlare a tutti gli italiani, che bisogna allargare la base sociale, che l’asse con la CGIL è importante, purché non sia l’unico a essere privilegiato.

Il Movimento 5 Stelle ha sfondato sia a destra che a sinistra. Ha prosciugato il serbatoio di Ingroia, ha preso voti da PDL e Lega (dimezzata) dal PD e da SEL.
Il sentimento di appartenenza ai partiti si è assottigliato molto mentre Grillo parla del suo movimento come di una nuova “comunità umana”. È probabile che alla prova dei fatti fallirà ma all’elettore interessa il “qui e subito”. Il voto di domenica è stato insieme politico, culturale e antropologico. Ha vinto un comico che fa politica, non ha perso uno showman che in campagna elettorale fa miracoli anche con un passato di governo da dimenticare. Prendersela con gli italiani non ha senso. È la nostra offerta politica che deve cambiare e migliorare.

Intanto però le prime mosse spettano al PD e questo è confortante.

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