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Apologie Paradossali

FACCIAMO A METÀ

COSTANTE PORTATADINO - 08/03/2013

La politica “comica”, il dibattito democratico trasformato in Commedia dell’Arte è solo il frutto amaro della perversione culturale di alcuni leader e della complice ottusa opportunistica stupidità degli elettori, o è una malattia ben peggiore?

Forse non peggiore, ma più radicata. Il comico non è un registro comunicativo da espungere dalla vita “seria”, non è il modo con cui si comunica, ma il contenuto, che conta. Il guaio, l’ho scritto nell’Apologia della scorsa settimana è quando il mezzo soverchia il messaggio.

E perché il mezzo (TV, Internet, piazza) prevale sul messaggio? Perché il messaggio è debole, parziale o è inficiato dalla non affidabilità del messaggero. Perciò la Commedia dell’Arte politica ha discusso poco dei contenuti, dei programmi, ma ha soprattutto attaccato la credibilità dei messaggeri.

L’incompiuta rivoluzione renziana e l’esagerato successo grillino hanno questo in comune: avere dato pochissimo peso ai contenuti rispetto alla critica alla modalità di attuazione degli stessi (in questo caso intendo il messaggero, l’uomo politico “vecchio”. Il partito, la casta). In che cosa differiva il programma di Renzi da quello di Bersani? Rispetto al programma elettorale del PD, in poco o nulla, tanto che la collaborazione è apparsa stretta, totalmente fuori discussione. La collaborazione ha garantito la semi-vittoria, ma ha impedito il vero cambiamento lasciando intatta la vecchia logica “frontista”.

Quanto al Movimento 5 Stelle, una lettura appena diligente del programma vi trova mescolati statalismo e radicalismo libertario, con punte di anarchismo e utopismo, irriducibili a un disegno coerente: la parte distruttiva ha opportunamente eclissato quella propositiva.

In modo meno insistente e meno argomentato anche Berlusconi e Monti (l’unico che poteva avere un messaggio forte) hanno insistito molto sulla delegittimazione degli avversari, più differenziandosi sulle responsabilità del passato che sul progetto di governo.

Come riprova mettiamoci Giannino: anche prima della denuncia della sciagurata invenzione dei titoli accademici, il messaggio, forse il più coerente, non dico il migliore dei programmi, aveva minimamente creato ascolto solo in una ristretta cerchia di giovani intellettuali.

Adesso, ecco, siamo incagliati.

Sui programmi si possono sempre trovare punti d’incontro, a forza di rinunce parziali e di reciprocità. Sulla distruzione dell’avversario non c’è possibilità di mediazione. Non ci mancano soltanto personalità come Moro e Berlinguer, che nel 1976 seppero risolvere una situazione ancora più intricata e drammatica di quella attuale, ci manca proprio il contesto, ci manca la politica, sicuramente nel suo significato più nobile, di impegno per il bene comune, ma anche nel significato più ordinario, direi tecnico, di trovare soluzioni concrete all’interno di strutture istituzionali date.

Le soluzioni ripescate dall’armamentario della Prima Repubblica sono state subito respinte con orrore, il “governo di scopo” appare un neologismo di ardua realizzazione, se lo scopo è una legge elettorale che ovviamente avvantaggerebbe qualche contendente più di altri.

Orbene?

Non lo so proprio. Provo a cavarmela con una proposta politica “comica”: troviamoci a metà strada.

Mezza restituzione dell’Imu e mezza eliminazione della casta; mezza TAV e mezzo articolo 18, mezza patrimoniale e mezza IVA, metà F35 e mezza Marcia della Pace, mezza RAI e mezza Mediaset.

E i leader?

Dimezziamo anche quelli! I nuovi saranno Sani, Sconi, Illo e … Colline.

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