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Attualità

LA PRIMA VOLTA DI FRANCESCO

MASSIMO LODI - 13/03/2013

Allora è Francesco. La prima volta d’un Papa che si chiama Francesco. Il nome vuol dire molto, talvolta tutto. Omaggio alle virtù del Francesco che fu, fiducia nelle virtù del Francesco che sarà. Inchino alla spiritualità. Richiamo alla povertà.

Pregate per me, chiede alla folla di Roma Jorge Mario Bergoglio nella notte piovosa dell’investitura. Un atto umile. Come dire: sono al servizio della Chiesa e di tutti i fedeli, ho bisogno d’aiuto. Datemi questo aiuto.

Gli viene subito concesso: l’applauso è di cuore, l’invocazione del nome è calda, l’abbraccio al nuovo vicario di Gesù è sincero. La piazza coglie la semplicità dell’uomo che ha una storia, oltre che d’intellettuale e di teologo, di prete che non sta in chiesa (meno che mai in curia), ma esce dalla chiesa. Incontra, condivide, soccorre. Un messaggero della misericordia, un praticante della compassione. Interpretata letteralmente: patire con gli altri.

È  il primo a sorprendersi della scelta, pur se già nel 2005 fu in ballottaggio con Ratzinger. Spiega meravigliato: i miei fratelli cardinali sono andati a prendere il vescovo di Roma molto lontano, fin quasi alla fine del mondo. Laggiù, in Argentina, dove il cristianesimo è di molti. Ma di molti è anche la sofferenza quotidiana, per esempio nelle “villas miserias”, le baraccopoli  che Bergoglio ha spesso trasformato nella sua casa di meditazione, nel suo ricovero di disponibilità, nel suo alloggio di assistenza.

Un pastore dall’impegno concreto e abituale tra la gente, che tiene ferma la barra della dottrina con dolce rigore, che ha profonda attenzione al disagio sociale, che detesta la “mondanità spirituale” ovvero la voglia carrieristica delle gerarchie ammantata di paludato formalismo.

Un modo di vedere il mondo che traspare anche dallo stile di vita personale, sobrio fors’anche per le origini piemontesi del settantaseienne arcivescovo di Buenos Aires. Rifiuto dell’auto blu, preferenza all’autobus e alla metropolitana. Niente privilegi, solo incombenze. Il dovere di ascoltare e di servire, il diritto di predicare e di convincere.

Viene catalogato da anni nel filone del progressismo cattolico, ma è una classificazione riduttiva. Perché Bergoglio, il martiniano Bergoglio, non è solo progressista, è anche conservatore. I valori fondanti della fede sono da conservare, se no che valori sono? E l’evangelizzazione è una, non sono due o cinque o mille. Un concetto chiaro, e tuttavia ogni tanto da rinfrescare. Compito peraltro che ai gesuiti maestri di comunicazione, cui il cardinale latinoamericano appartiene, è sempre riuscito benissimo. Figuriamoci se  non riuscirà al primo di loro diventato Papa.

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