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Attualità

LA FORZA DELLA PIAZZA

LUISA OPRANDI - 13/03/2013

Dalla piazza che urla alla piazza che prega. Avevamo bisogno di una piazza così, silenziosamente trepidante nell’attesa, fraternamente raggruppata attorno a una speranza, umanamente rafforzata dal senso di appartenenza e di unità.

L’elezione di Papa Francesco apre lo sguardo al nuovo mondo, quello economico sociale dei paesi latino americani, quello delle tante povertà a noi vicine, quello del bisogno di stare nella collettività in modo diverso da quello cui la contemporaneità ci ha incautamente abituati.

Un messaggio chiaro, pulito, provvidenzialmente raccolto nel nome del Santo d’Assisi, che affidò la forza della propria rivoluzione alle “nozze con Madonna Povertà”.

Una prospettiva innovativa e delicatamente energica che nasce dalla relazione tra il popolo e il suo Pastore: essere una cosa sola per camminare assieme.

C’eravamo tutti in quella piazza, in qualsiasi parte del mondo fossimo in realtà.

Spinti inizialmente dall’inevitabile consapevolezza dell’importanza del momento ma poi, fin dal primo timido e apparentemente impacciato saluto del nuovo Pontefice, calamitati dalla forza dell’umiltà e della gratitudine, dalla semplice grandezza del condividere una preghiera fraterna e universale e parole comuni e vicine, quasi sussurrate, eppure capaci di acquietare l’esuberanza plurilingue delle esplosioni di gioia

Di fare piazza l’uomo ha bisogno, per propria natura: nell’agorà si esprimevano le prime forme di democrazia, nel foro si costruiva la vita sociale, religiosa e politica, attorno alle piazze sono sorte le città, in piazza si sono consumate rivoluzioni e difesi diritti in ogni tempo, si sono condivise la gioia delle liberazioni dai soprusi e la fine delle guerre, sono convogliate le forze pacifiche delle marce e delle fiaccolate silenziose.

La storia anche oggi ci ha regalato la forza sociale e culturale della piazza e Papa Francesco, invitando in nome dell’unità la folla immensa raccolta davanti San Pietro ad una correlazione pastorale e umana, ha silenziato e ridimensionato le chiamate a raccolta e le grida di novelli capipopolo. Il “ministro” di Dio, chinando la testa, si fa ultimo e bisognoso dell’aiuto di tutti.

La rivoluzione oggi è stata anche in questo segnale forte e incisivo, che ha saputo entrare con delicato vigore nel panorama della comunicazione, di cui ci si appropria spesso maldestramente in nome della libertà di espressione. Un segnale che ha donato respiro alla bellezza dell’essere collettività, forza di popolo che costruisce, perché chiamata ad essere partecipe, a superare i personalismi per dare voce e concretezza al solidale bisogno di reciprocità.

Dalla piazza che urla alla piazza che ritrova la propria identità.

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