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Chiesa

IL FEMMINISMO CRISTIANO

LIVIO GHIRINGHELLI - 29/03/2013

Già dai tempi dello sviluppo del modernismo era sorto un movimento, che si può dire di femminismo cristiano. Negli anni trenta Gertrud Le Fort ed Edith Stein hanno affrontato teoreticamente il problema della natura della donna. Ma nell’agenda del Concilio la questione per una conclamata asimmetria di genere non risulta propriamente inserita. Piuttosto si nota che nei testi conciliari viene adottato un linguaggio neutro: compare homo come essere umano 784 volte, vir ricorre 51 volte, mulier 35. Però il cardinale Suenens nel chiedere che venga incrementata la presenza degli uditori, a proposito dei carismi dei fedeli, sollecita l’ammissione delle donne fino allora assenti.

È nel corso d’elaborazione della Gaudium et spes che si interviene a favore della causa delle donne. Il n. 32 della Lumen gentium (novembre 1964) nell’affermare la pari dignità di ogni cristiano rigenerato nel Cristo contiene il rifiuto d’ogni disuguaglianza, ivi compresa quella sessuale. Universale è la vocazione alla santità. E Paolo VI con la Marialis cultus nel 1974 proporrà Maria come modello per le donne fuori d’ogni stereotipia tradizionale.

Il decreto sull’educazione cristiana (Gravissimum educationis, ottobre 1965) sottolinea comunque la differenza sessuale come valore. Le donne hanno diritto di accedere allo studio e di formarsi culturalmente, ma nella salvaguardia della differenza fra i sessi e la femminilità sembra legata al lato fisico, senza che si mediti sul ruolo svolto dalla dimensione culturale. Il decreto Apostolicam actuositatem (sull’apostolato dei laici, 18 novembre 1965) individua all’interno della Chiesa uno sviluppo del ruolo della donna analogo a quello affermatosi nella società civile..

E la costituzione Gaudium et spes (7 dicembre 1965) contempla un nuovo tipo di rapporti sociali intercorrente tra uomo e donna: le donne rivendicano la parità con gli uomini non solo in linea di diritto, ma anche di fatto (n. 9). Chiara è la fiducia in uno sviluppo irreversibile in base a una visione dell’umanità ottimistica (ottimismo antropologico).

Anche nella donna risulta evidente la costitutiva imago Dei. Nella prima forma di comunione di persone si coglie il mistero relazionale del matrimonio. Offese alla dignità della donna sono le torture, l’aborto, condizioni di vita infraumana, la prostituzione, la tratta (n. 27). Nessuna discriminazione è possibile in ragione del sesso (n. 29). Va superata la tradizionale concezione giuridica del matrimonio e assunto come fondamento l’amore coniugale (intima comunità di vita e amore) (n.48). Una sola carne, non più due. Anche le donne sono promotrici di cultura (n. 60).

Tuttavia il Messaggio alle donne, loro rivolto al termine del Concilio, si affida a un armamentario retorico e risulta frutto di un lavoro della Curia; insiste sulla mistica della femminilità e l’appello alle madri è di maniera. Ricorrono luoghi tipici della cultura patriarcale.

Nel settembre del 1964 Paolo VI accolse la richiesta d’aprire i lavori conciliari anche alle donne, ammesse come uditrici, prima la francese Marie-Louise Monnet. Ma per la maggior parte dei Padri tale presenza doveva essere soltanto simbolica (in riferimento a Paolo, I Corinzi , 14-34).

Non trascurabile comunque risultò l’apporto dei loro contributi in qualità di esperte (v. soprattutto la Gaudium et spes). Rappresentarono in sostanza una élite sociale e culturale. Una svolta è da osservare in proposito nell’ecclesiologia e nell’antropologia delineate nelle assise conciliari.

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