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Editoriale

CRONACHE DA UN PAESE IRREALE

GIANFRANCO FABI - 05/04/2013

Immaginiamo che il Consiglio comunale di Varese approvi una delibera che dica più o meno così: “Sulla base di ripetute segnalazioni dei cittadini si stabilisce che coloro i quali si rechino a consumare cibi e/o bevande in locali pubblici sono tenuti a pagare il corrispettivo in contanti e/o carta di credito ai gestori di detti locali che devono emettere regolare scontrino fiscale. Nel caso in cui vengano consumati pranzi o cene il gestore deve indicare nel conto finale il prezzo di ciascuno dei piatti e/o delle bevande consumate e detto prezzo deve corrispondere a quanto riportato sui menu esposti nel locale e/o consegnati agli avventori per facilitare la loro scelta”.

Incredibile? Quasi come la scoperta dell’acqua calda. Ma gli obiettivi della politica sembrano ormai “sconfinati”, incuranti della logica e del buon senso, impegnati a creare problemi per poi individuare le vie più impervie per risolverli.

Per capire in quale irreale Paese ci troviamo basti guardare alla clamorosa vicenda, questa volta drammaticamente reale, dei debiti delle pubbliche amministrazioni verso le aziende private. Nel corso degli anni migliaia di imprese hanno infatti realizzato lavori, consegnato forniture, prestato servizi sulla base di regolari contratti firmati e controfirmati. Ebbene lo Stato, le Regioni, le Province, i Comuni, le Unità sanitarie dicono da mesi “grazie, ma non abbiamo i soldi per pagarvi”. È chiaro che per molte imprese questo vuol dire enormi difficoltà perché i dipendenti vanno pagati a fine mese, così come vanno pagati ai fornitori delle materie prime utilizzate e tasse e imposte vanno corrisposti senza ritardi salvo pesanti sanzioni perché se lo Stato ha un credito è inflessibile nel far rispettare i tempi.

Ecco quindi che mese dopo mese i debiti sono diventati una montagna che ha superato quota cento miliardi. In un Paese normale fatti di questo tipo non si sarebbero verificati o almeno non avrebbero raggiunto livelli di tale ampiezza. Si dovrebbe presumere che, come ogni buon padre di famiglia, se un’amministrazione decide una spesa deve contare preventivamente su mezzi per finanziarla. E se qualcuno ha ordinato dei lavori senza avere i soldi per pagarli dovrebbe essere gentilmente invitato a dimettersi salvo regolare i conti in sede giudiziaria.

Tutto questo non avviene. Questi cento miliardi di crediti sembra non abbiano né padre, né madre. Nessuno ne risponde politicamente o patrimonialmente.

E allora superando i confini dell’assurdo per onorare i debiti c’è bisogno di una nuova legge che stanzi i soldi necessari, una legge per di più contrattata con l’Unione europea perché le spese di cui sopra non sono furbescamente entrate nel novero del bilancio pubblico concordato e approvato.

Tutta questa vicenda, che peraltro è resa più complessa dalla situazione di vuoto politico scaturita dalle elezioni, non ha messo in luce solo il bizantinismo contabile della realtà italiana, ma anche la sprovvedutezza e l’impreparazione di quello che si è assunto il compito di diventare una vera forza di opposizione, il movimento di Beppe Grillo. Uno dei primi atti pubblici dei nuovi parlamentari a cinque stelle è stato infatti quello di criticare il provvedimento per pagare (in parte) i debiti verso le imprese affermando che si trattava di “un regalo alle banche”. Una critica basata sul fatto che alcune imprese hanno usato questi crediti come garanzia per avere dalle banche finanziamenti indispensabili alla loro attività. Quindi le banche sono in qualche modo intervenute, meritoriamente, per evitare danni maggiori. E appare paradossale, e motivato solo dal fatto di voler essere comunque “contro”, che un movimento che nel programma ha messo ai primi posti la difesa delle piccole e medie imprese critichi uno dei pochi interventi che possono aiutare le imprese per una situazione che non hanno creato loro e di cui sono le prime vittime.

Resta alla fine un insieme di amarezze. Quella di una politica che crea problemi che non dovrebbero esistere, perché i debiti vanno onorati, quella di soluzioni complesse e macchinose, quella di un’opposizione unicamente disfattista. Un Paese irreale e assurdo. Il nostro Paese.

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