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Attualità

MIGUEL POBLET, INDIMENTICATO “O REY”

CESARE CHIERICATI - 12/04/2013

Miguel Poblet a Saint Vincent nel 1960

Era un catalano allegro e spumeggiante Miguel Poblet Orriols, grande alfiere del ciclismo spagnolo anni cinquanta, morto sabato 6 aprile scorso in un ospedale di Barcellona. Aveva ottantacinque primavere portate con la spensieratezza e l’orgoglio che hanno segnato tutta la sua carriera di grande sprinter approdato alla Ignis di Giovanni Borghi nella primavera del ’57 all’insaputa dello stesso “commenda” che aveva allestito una squadra di ciclismo di cui però era insoddisfatto al punto di coltivare il proposito di disfarsene al più presto.

Ma Vincenzo Torriani, gran patron del Giro d’Italia e dirigente di lunga vista della Gazzetta dello Sport, aveva adocchiato un giovane saettante spagnolo di corporatura minuta, afflitto da precoce calvizie, di naturale contagiosa simpatia. Un talento che non poteva lasciarsi sfuggire. In combutta con i dirigenti della squadra di Comerio favorì l’allestimento di una nuova Ignis, impreziosita dalla presenza del giovane catalano, all’insaputa dello stesso Borghi. Intuizione vincente perché a Sanremo, in quel lontano 19 marzo, fu proprio Poblet a lasciarsi alle spalle i migliori velocisti del momento. La sera stessa nella hall dell’Hotel San Carlo di Milano, Borghi – racconta Natale Cogliati, gran cantore delle due ruote, nel suo preziosissimo “Ciclismo Amore e fantasia” – vincola il fulmine catalano “con un contratto speciale fatto di due firme apposte su una scatola di fiammiferi. Fu l’unico documento che i due si scambiarono”. Un colpo di fulmine di reciproca simpatia e stima. Anche quando Miguel, a fine carriera, divenne l’uomo Ignis di Spagna contratti e intese furono sempre siglate unicamente sulla parola. Altri tempi davvero, altre meno fosche stagioni.

Dopo quella folgorante Sanremo diventò il re ciclista di Comerio, una corona la sua legittimata a suon di vittorie, centoquarantaquattro in carriera sia su strada sia su pista. Fece sue la bellezza di venticinque tappe tra Giro, Tour de France e Vuelta, si aggiudicò alcune Sei giorni in coppia con Nando Terruzzi, un autentico principe dei velodromi. Ma l’altro colpo magico del catalano volante fu la Milano –Sanremo del ’59 allorché si mise alle spalle un fuoriclasse delle volate del livello del belga Rick Van Steenbergen, uno dei più forti routier sprinter di tutti i tempi. A differenza di quasi tutti i suoi colleghi velocisti Poblet sulle salite non scivolava necessariamente all’indietro, si difendeva egregiamente: nel Giro del 57 vinse addirittura la Trento – Monte Bondone di duecentoquarantadue chilometri precedendo Ercole Baldini e Luison Bobet. Era invece costretto ad arrendersi pure lui nelle grandi tappe alpine dove bisognava scalare quattro/cinque cime in sconciante sequenza. Lì il suo motore di sprinter puro si inceppava inesorabilmente. Nel panorama ciclistico iberico popolato fino ad allora da camosci montati su due ruote, pensiamo al mitico Firmin Trueba che incrociò i ferri con Gino Bartali e al ruvido Bernardo Ruiz che impegnò Fausto Coppi, fu una novità assoluta, una luminosa eccezione, replicata solo quattro decenni più tardi da Oscar Freire, velocista alato, tre volte campione del mondo al pari di Binda, Merckx e Van Steenbergen.

Con Miguel se ne è andato un diamante delle due ruote anni ’50 e un frammento importante di ciclismo locale che, con il grande basket e il leggendario pugilato di quelle stagioni – il tutto targato Ignis – ha fatto conoscere Varese nel mondo.

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