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Attualità

DA QUELLA CATTEDRA

LUISA OPRANDI - 12/04/2013

Metà della vita di un giovane è tra i banchi di scuola e metà della vita adulta di un insegnante trascorre tra quegli stessi banchi. Una relazione dove ciascuno riceve dall’altro e mette a disposizione qualcosa di sé. Un rapporto di condivisione di valori, ideali, scelte, progetti: un quotidiano avere a che fare reciprocamente, accogliendo e valorizzando le rispettive diversità, per ricondurle dentro percorsi condivisi, che sappiano fare incontrare i valori della cultura, della tradizione, dell’arte e della scienza con interessi e gusti delle nuove generazioni.

Visto con la logica individualista di certo pensiero contemporaneo, spesso il legame tra gli alunni e i docenti è però maldestramente e sommariamente ridotto a un giudizio di merito su quanto il prof sappia la propria materia e quanto sia “equo” nel valutare. Senza che siano peraltro ben chiari i parametri per definire tale equità di giudizio.

Altrettanto semplicisticamente gli insegnanti si sentono ripetere che dovrebbero essere presenti tra le mura della scuola otto ore al giorno come un qualsiasi impiegato e che in estate sarebbe opportuno adoperarli in attività generiche (qualcuno riesce ancora a proporre un arcaico “sistemare la biblioteca”), qualunque esse siano, purché la società abbia evidenza del loro lavoro. Personalmente dopo ormai trent’anni riesco a non demoralizzarmi più nel cercare di spiegare in cosa in realtà consista questo prezioso lavoro. Preferisco semplicemente viverlo.

Il docente ha la consapevolezza di non essere un giudice del rendimento scolastico degli alunni, bensì di essere un adulto chiamato ad affiancare il percorso di crescita e formazione culturale senza dubbio, ma soprattutto umana dei propri studenti.

Un docente non si sottrae alla richiesta complessa di essere in grado di dare risposte alla molteplicità dei bisogni generazionali che si insidiano dietro la quotidiana inquietudine di un adolescente in affrettata e appassionata ricerca di identità. È pur vero che i docenti imparano, dalla esperienza ma soprattutto dallo studiare, ricercare e informarsi, tanto di quel che si muove attorno alle esigenze e alle espressioni comportamentali dei ragazzi. Questo è tempo dato e non certo dalla sedia di una scrivania, che per di più nessun docente ha in dotazione perché ne condivide giornalmente una con tanti altri colleghi. È però il tempo della attenzione e dell’affetto che è difficile misurare in ore lavorative.

Un docente sa di non poter rinunciare a leggere e interpretare i conflitti e gli atteggiamenti di ribellione, a capire i silenzi e le difficoltà nascoste dai differenti tratti caratteriali, a trovare strade che rispondano il più possibile al bisogno di futuro che i giovani esprimono con evidenza oppure nascondono in modo criptico e quasi impalpabile.

Un docente ha la consapevolezza di dovere aiutare i propri alunni a riconoscere le specificità dello stile di apprendimento di cui ciascuno è portatore, affinché ogni materia non rappresenti un obiettivo di conoscenze da acquisire, bensì uno strumento attraverso il quale formarsi e plasmare i tratti della propria formazione continua. E affinché l’errore non sia solo la ragione di un voto, ma una opportunità di miglioramento e il risultato positivo uno stimolo per lo studente di consapevolezza del proprio cammino.

Un docente non lascia mai nulla di intentato anche quando il proprio entusiasmo si frantuma contro muri di indifferenza rispetto a ciò che fa, perché sa di non potersi mai fermare nel bisogno di migliorarsi e di cercare strade nuove.

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