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Attualità

PRESIDENTE DIVISO E DISASTRO EDUCATIVO

CAMILLO MASSIMO FIORI - 26/04/2013

La sconcertante vicenda dell’elezione del Capo dello Stato ha messo a nudo le difficoltà e le contraddizioni del nostro sistema politico. Una minoranza fanatizzante e intollerante ha inscenato dentro il Parlamento e su alcune piazze della capitale una reazione di protesta alla rielezione del Presidente Giorgio Napolitano.

Il Movimento di Grillo, con il rincalzo della sinistra radicale e il compiacimento di una parte di quella riformista, ha proposto una “vulgata” falsa costruita abilmente sul web di un candidato anti-casta, espressione del popolo contro i “servi del Palazzo”. È stata gabellata in modo subdolo una verità di comodo, quella di un candidato che rappresenterebbe tutti i cittadini mentre è stato proposto da un referendum elettronico di parte e senza trasparenza dove peraltro il professor Rodotà è arrivato terzo ed è sceso in campo dopo che i primi due designati si sono ritirati. È questa “la candidatura di tutti gli italiani”? Dietro questa montatura mediatica c’è però il successo inconcludente del M5S alle votazioni di due mesi fa che ha raccolto la rabbia dei cittadini e la loro insoddisfazione verso i partiti e le istituzioni, e la gestione ambigua del dopo elezioni da parte del Partito Democratico che manca di identità e di una cultura unificante, non ha un progetto ed è dilaniato dalla lotta delle correnti.

La crisi viene da lontano e coinvolge soprattutto l’intero schieramento di centro-sinistra che raggruppa quella parte del Paese che si riconosce in un senso comune e in un insieme di idee e di valori condivisi definiti dalla volontà di cambiamento e di solidarietà.

Questo pezzo di società civile si differenzia nettamente dall’altro pezzo di società che non ha grande attenzione per il bene pubblico collettivo, è attaccato ai propri interessi individuali, non ha molta attenzione per la politica e generalmente la delega ai rappresentati eletti. La prima Italia discute, si appassiona e litiga; la seconda tace e vota.

Queste due società, la destra e la sinistra, sono separate e non comunicano tra di loro: la prima si interessa della cosa pubblica ma vuole capire le scelte e le decisioni dei partiti; la seconda ha un rapporto di acritica fiducia con l’autorità che la rappresenta. Sulle due Italie, che non hanno rispetto l’una dell’altra e non riescono neppure a confrontarsi, incombe come un’ossessione l’idea del nuovo e della discontinuità come se fosse un valore e che tuttavia non riesce a tradursi in un progetto di cambiamento organico e coerente.

Questa situazione è il risultato di un disastro educativo iniziato decenni fa con il successo della filosofia e della mentalità individualista e il ritrarsi dei singoli e delle famiglie nella sfera del privato.

Non che manchi l’interesse per la politica, sollecitata dalla maggiore affluenza di informazioni, ma la voglia di partecipare è condizionata dalla carenza degli elementi conoscitivi fondamentali per capire che cos’è e come funziona la politica.

La cultura politica presuppone infatti un minimo di cognizioni in materia di storia, di diritto, di economia, di sociologia che si dovrebbero apprendere nella famiglia e nella rete educativa come la scuola, le chiese, le associazioni, i partiti, i sindacati. Occuparsi di politica senza possedere queste basi cognitive comporta serie difficoltà a pensare, a ragionare, a capire e formulare i concetti.

La società civile è priva da decenni di culture politiche e i cittadini sono orfani del crollo del nostro sistema educativo e della cancellazione delle sue culture storiche. Vengono così meno i criteri di valutazione ed invece di capire e di ragionare ci si affida ai sentimenti e alle passioni.

Si spiega così l’avvento della politica personalistica che fa affidamento sulle virtù salvifiche del “capo” invece che sulla partecipazione responsabile dei cittadini. Tuttavia la gestione leaderistica e verticistica dei partiti può funzionare a destra con un elettorato distaccato e incline alla delega, non funziona affatto in quella parte più critica della nostra società.

Il Partito Democratico è al centro di queste contraddizioni; esso deriva dall’incontro delle culture più importanti del Novecento come quella socialdemocratica e democratico cristiana che però non ha saputo rinvigorire, attualizzare, amalgamare attraverso l’approfondimento, la discussione e il confronto. Non ha prodotto quella contaminazione cognitiva che serve per capire e affrontare le sfide di un mondo inedito e globalizzato.

La struttura leaderistica del partito, con le primarie ridotte a consultazioni anziché (come nell’America di Obama) aperte al confronto propositivo sui contenuti, hanno aperto la strada ad una gestione verticistica delle scelte mal spiegate e mal comprese che hanno incentivato il dissenso e la rivolta della base, con tassi di faziosità impressionanti.

Il civismo non sostenuto da solide basi culturali ma sorretto soltanto dall’informazione non è in grado di rapportarsi allo stato reale delle cose, diventa un semplicismo estremo, assertivo e supponente. I nuovi politici sono volonterosi ma sorretti da nozioni approssimative; non hanno profondità di pensiero e una visione strategica dell’azione pubblica e intrattengono un rapporto ambiguo con il potere che diviene supponenza e moralismo.

L’Italia continua ad essere sull’orlo di un disastro ma non si vede un ceto politico competente e disinteressato capace di spiegare ai cittadini il senso e la direzione del cambiamento; la classe dirigente, largamente rinnovata, continua a vivere di espedienti e di rinvii, ma i tempi dell’attesa e della pazienza non sono infiniti.

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