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Attualità

LISTE CIVICHE, SEGNO DEI TEMPI

LUISA OPRANDI - 24/05/2013

La richiesta di partecipazione diretta alla gestione della cosa pubblica è una forma attuale della politica. I cittadini sono ormai lontani dal demandare esclusivamente agli esponenti di partito le scelte amministrative e quello che costituiva un mondo alla portata di pochi è progressivamente diventato il luogo di tutti.

Primo segnale è stato il proliferare da almeno un decennio in molti comuni delle liste civiche, libere forme di aggregazione attorno a progetti e idee, in occasione delle elezioni: una novità bella e significativa, “contraltare” alla tendenza individualistica di molti altri aspetti della società e della cultura. Un segno dei tempi che va letto, interpretato, valorizzato, evitando però di ritenere le liste civiche eventuali comprimarie o addirittura subalterne ai partiti.

C’è stata innegabilmente una lunga tradizione in cui i partiti, soprattutto quelli di massa nel secolo scorso, sono stati in grado di rappresentare uno spaccato sociale e generazionale significativo del Paese. Oggi però il monopolio della potenzialità rappresentativa non è più dei partiti, se un numero sempre maggiore di cittadini sceglie strade diverse per partecipare alla cosa pubblica.

I partiti conservano un ruolo fondamentale nel dare ordine e coerenza alla finalità e alla progettualità politico-amministrativa. Non possono però incorrere nel peccato dell’autoreferenzialità o evitare di misurarsi con i tempi con forme di chiusura rispetto all’autonomia e indipendenza delle aggregazioni spontanee di cittadini.

In moltissimi Comuni italiani e del nostro territorio i partiti tradizionali governano proprio grazie al sostegno concreto, anche in termini di voti conseguiti, di liste civiche. Non è lontana nemmeno l’esperienza della sottoscritta alle elezioni comunali di due anni fa: la scelta di essere sostenuta anche da una lista di cittadini che non fossero iscritti ad alcun partito, che si ritrovassero attorno ad un programma steso assieme e condiviso e, soprattutto, che avessero già fatto esperienza di volontariato o associazionismo nel territorio ha unito trasversalmente in un progetto comune tante diversità. Ma ha anche messo in moto una volontà di lavorare assieme nella città che, proseguendo negli anni successivi, ha convogliato il bello di quella esperienza in una ordinata associazione culturale attiva nel territorio, che a propria volta ha aggregato altri cittadini e supportato quel senso di partecipazione che è sempre ricchezza e mai un limite.

Sulla stessa lunghezza d’onda è la forma partecipativa delle primarie nelle vicende elettorali interne ai partiti. L’intuizione forte del Partito Democratico è stata fin da subito vincente: l’avere richiamato, sei anni fa, circa tre milioni e mezzo di persone alla elezione del primo segretario nazionale ha poggiato buona parte di questo splendido risultato partecipativo sul progetto di partito aperto, allargato, coinvolgente, capace di andare oltre il concetto di partito delle tessere e dei soli iscritti per diventare partito della gente. Una idea al passo con i tempi, interprete della società di oggi: ogni ridimensionamento o indebolimento di questa speranza di massima apertura ha significato e significa un ritorno indietro e una distanza dalla realtà.

Il Movimento Cinque Stelle, per altri versi e in forme assolutamente differenti, è a propria volta una manifestazione nuova della partecipazione spontanea. Fuori da qualsiasi giudizio politico e da ogni considerazione di merito o di metodo, è indiscutibile che non si fa portavoce solo di rabbia o volontà di distruzione. Anzitutto i numeri alla mano dicono che è la strada che tantissimi cittadini hanno scelto per rappresentare quello che chiedono a chi amministra la cosa pubblica.

Chi fa politica non può quindi non misurarsi con l’attualità di questa richiesta o eludere il fenomeno, per quanto abbia tutti i limiti della inesperienza rispetto ai partiti.

Soprattutto sarebbe meglio non puntare sempre i riflettori sul suo fondatore e leader mediatico, ma osservare piuttosto i militanti, guardarne i volti che rappresentano anagraficamente un ampio spaccato di società, ascoltarne le richieste anche se il linguaggio può essere in molti casi troppo vigoroso e poco affine al più ricercato politichese.

Tutte quelle persone stanno dicendo qualcosa a chi fa politica, a chi governa o è all’opposizione in qualsiasi luogo e istituzione del nostro Paese. Provare a limitarne, in punta di regolamenti, la presenza sulla scena politica è poco logico, perché sarebbe come arginare un fiume in piena con un colabrodo.

C’è l’esempio, a mio avviso, di pochi mesi fa alle primarie democratiche per il segretario e candidato premier: opporre ordinate regole alla volontà della gente di essere presente non porta a costruire nulla, semmai demotiva e allontana..

Se si perdono milioni voti in pochissimo tempo, come è accaduto ai due maggiori partiti degli schieramenti opposti del nostro sistema politico, penso sia invece prioritario fermarsi e cercare di capire dalle persone, dai cittadini, dagli elettori delusi cosa non si è saputo dire e dare al Paese.

Una saggia e sana capacità di interrogarsi con chi sta fuori dalle sedi di partito e aprire loro invece le porte o con chi non è inserito negli elenchi dei tesserati e ascoltarlo, una concreta volontà di cambiare per migliorarsi farebbe solo bene ai partiti e alla politica. E quindi anche alla gente.

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