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Storia

I MORTI VARESINI A HILLCREST

PAOLA VIOTTO - 14/06/2013

Il monumento a ricordo del disastro di Hillcrest

Il diciannove giugno 1914, poco dopo le nove del mattino, il villaggio di Hillcrest, nello stato canadese dell’Alberta, venne sconvolto da una tremenda esplosione. Quella mattina duecentotrentacinque uomini, per lo più immigrati europei, erano scesi nella miniera di carbone intorno a cui era sorto quel piccolo insediamento nel cuore delle Montagne Rocciose. Nonostante il coraggio dei soccorritori subito accorsi dalle vicine cittadine minerarie, soltanto in quarantasei scamparono al disastro. La popolazione di Hillcrest venne dimezzata, quattrocento bambini rimasero orfani. La ricerca dei corpi durò a lungo e alla fine molti vennero sepolti in una fossa comune.

Tra i centoottantanove morti c’erano anche dei varesini, parte di una numerosa comunità di emigrati dai paesi sulla riva del lago Maggiore. Mentre coloro che partivano dalla Valceresio si dirigevano per lo più verso le cave di granito del Vermont, intorno al 1910 molti uomini della zona del Verbano, dopo essere giunti negli Stati Uniti, proseguivano verso il Canada per stabilirsi nell’area del Crowsnest Pass, dove la nascente industria mineraria era affamata di mano d’opera. Secondo la tipica modalità dei flussi migratori, i primi arrivati venivano raggiunti via via da parenti, amici e compaesani. In questo luogo dal nome vagamente western -Passo del nido del corvo – a millecinquecento metri d’altezza, la vita era durissima, ma offriva pur sempre prospettive migliori di quelle del paese d’origine. Dopo qualche tempo i più fortunati si facevano raggiungere dalle mogli e dai figli rimasti a casa, oppure si sposavano “per posta” facendo venire dall’Italia una moglie che talvolta non conoscevano neppure di persona. Molti riuscirono a costruirsi una nuova vita, tanto che i loro discendenti formano oggi una parte essenziale della comunità locale. Qualcuno tornò in Italia. E qualcuno perse la vita.

Ubaldo Tamborini, che tutti chiamavano Baldo, aveva diciotto anni. Era partito da Mornago un anno prima, per raggiungere il fratello maggiore Alberto a Montreal. Insieme proseguirono per il Crowsnest Pass e trovarono lavoro come manovali. Di Mornago era anche Carlo Casagrande, che al momento dell’arrivo in Canada aveva dichiarato di essere scalpellino e di voler raggiungere il cugino Antonio emigrato prima di lui. A Hillcrest viveva con Antonio e sua moglie Virginia, che avevano improvvisato una pensioncina nella loro casa. Anche lui faceva il manovale, il “bucker” un lavoro pesantissimo e sottopagato che consisteva nello spingere il minerale estratto lungo gli scivoli di legno. Virgilio Bodio di Angera, che aveva vent’anni, conduceva invece i cavalli che trasportavano il minerale all’esterno e guadagnava qualcosa di più. L’unico minatore del gruppo, quindi un operaio specializzato, era Giuseppe Marcolli, ventiquattro anni, di Mornago. Era arrivato in Canada per ricongiungersi con lo zio Elia, ed era stato a sua volta raggiunto dal fratello Vittorio, non coinvolto nel disastro

Diciannove e vent’anni avevano i cugini Parnisari di Barzola, giunti ad Hillcrest un anno prima per raggiungere Giovanni Parnisari. I nomi con cui compaiono nei documenti di immigrazione e nelle liste dei morti sembrano non corrispondere. L’improbabile Guiseppi era sicuramente un Giuseppe, figlio di Angelo Parnisari e fratello di Giovanni. L’altro si chiamava Carlo, o forse Luigi e Carlo era in realtà il nome del padre. Sulla stessa nave, la Rochambeau, che aveva portato i Parnisari in America viaggiava anche Carlo Gianoli di Cadrezzate, che andava a raggiungere lo zio Giovanni Maffini ad Hillcrest. Quando morì aveva ventotto anni e era anche lui un bucker

Antonio Caielli, di Comabbio, con i suoi trentatré anni era il più vecchio del gruppo ed anche l’unico sposato. La moglie, Carolina Falcetta, era rimasta a casa a Corgeno. Antonio aveva già fatto un primo viaggio in Canada nel 1908 per raggiungere il fratello Cesare, ma non aveva avuto fortuna. Tornato in Italia, decise di rientrare in Canada, questa volta per raggiungere il cugino Luigi Tamborini, e si adattò a fare il bucker.

Nonostante quello di Hillcrest fosse stato il peggior disastro minerario del Canada, venne rapidamente dimenticato. Lo scoppio della prima guerra mondiale, pochi giorni dopo, fece passare la notizia in secondo piano. Molte famiglie di minatori, tra cui i varesini, non riscossero neppure gli indennizzi loro spettanti.

Ultimamente le cose stanno cambiando. A Hillcrest è stato costruito un monumento che ricorda come il duro lavoro e i sacrifici di questi minatori abbiano contribuito a rendere possibile una vita migliore per i loro discendenti e le loro comunità.

E c’è una commovente ballata folk dedicata alla loro vicenda e siti che ne tengono viva la memoria.

Oggi, nel momento in cui si avvicina il centenario, un gruppo canadese sta svolgendo ricerche sui minatori morti nel disastro, cercando informazioni anche sulla loro vita e sulle loro famiglie nei paesi di origine. Per chi avesse qualche notizia sui nostri varesini o sul modo in cui da noi arrivò la notizia della tragedia c’è un indirizzo mail a cui rivolgersi: info@hillcrestminedisaster.com

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