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Attualità

BENEMERENZE PER IL DUCE

MANIGLIO BOTTI - 14/06/2013

La Questura di Varese, già Casa del Fascio

È possibile, in questa vicenda della cittadinanza onoraria varesina concessa a suo tempo a Benito Mussolini, benemerenza di fatto confermata di recente dopo che il consiglio comunale ha respinto una mozione del PD che ne chiedeva la cancellazione, che il primo a rimanere sorpreso sia stato il sindaco Attilio Fontana. E non già per l’esito della votazione, dove più che le valutazioni di carattere storico probabilmente hanno prevalso quelle politiche: di non darla mai vinta agli oppositori, e di dimostrare da parte di una qualsivoglia maggioranza coesione e forza.

La sorpresa, forse, è stata quella di avere scoperto che certi privilegi non erano stati cancellati a suo tempo, sessantotto anni fa, alla caduta del nazifascismo, dopo una guerra tragicamente perduta, dopo tanti dolori patiti, perché le sofferenze si spalmano nella vita degli uomini senza guardare a destra e a sinistra. Anche se qualcuno ci mette sempre del suo.

Non era stato cancellato il privilegio – si presume per mera distrazione – al contrario invece di quanto era accaduto per altri segni onorifici riservati al fascismo in città, come la via del Littorio che diventò, in modo più giusto e opportuno, via 25 Aprile. Ma la “storia” fu in un certo (buon) senso salvaguardata, perché – ad esempio – non vennero abbattuti gli edifici trionfalistici di piazza Monte Grappa, ex piazza Porcari. Né il palazzo delle Corporazioni, che divenne sede della Camera di commercio, né il palazzo dell’INPS, cui il regime, nel pieno del suo fulgore, aveva dato del resto dignità giuridica. Né l’“innocente” ma brutta e cimiteriale fontana che adesso – per debito alla crisi – dovrebbe anche rimanere muta e spenta. Nello stesso modo in cui, nella civilissima e democratica Predappio nessuno s’è mai sognato di cancellare dall’anagrafe il suo cittadino più famoso, quel Benito Mussolini, appunto; né di espellerlo dal cimitero.

Il guaio è che un problema tutto sommato chiaro e facilmente risolvibile s’è via via aggrovigliato fino a produrre esiti ben più gravi come quelli che derivano dalla conferma della cittadinanza onoraria. “I consiglieri non dovrebbero perdere tempo con queste cose, quando c’è ben altro cui pensare”, è stato detto da alcuni al momento della presentazione della mozione che voleva cancellare il privilegio.

E che tempo mai c’era da sprecare? Bastavano dieci minuti dieci, e tutto era risolto con breve dibattito e con un tratto di penna. A parte che poi, da una ventina d’anni a questa parte, quell’“altro” di cui si parla sempre, nella nostra Amministrazione viene spesso ignorato.

È accaduto così che si è andati perfino a cavillare sulla data della concessione della cittadinanza a Mussolini, accreditato di essere stato il primo artefice, poco tempo dopo, della nascita della nostra provincia (anche se non è proprio così); insomma, il duce degli inizi che coglieva consensi anche da Benedetto Croce (in Italia) o da qualche illuminato lord inglese.

 Ma il fatto che poi, nella realtà storica, il fascismo sia stato – com’è stato – un’immane tragedia, a ben vedere non ha toccato (non tocca) Varese nella sua quintessenza di città, che non ha mai avuto – né nel male né nel bene – vette di originalità e di passione. Per quanto riguarda la cittadinanza onoraria Varese si comportò come un qualsiasi altro paese italiano dell’epoca. E l’originalità e la passione, a quanto risulta, non erano nemmeno corrisposte da Mussolini, che non degnò mai nell’arco della carriera la città bosina di una sua visita ufficiale, tranne la volta che – di ritorno da Sesto Calende dov’era stato per ammirare alcuni aerei – vi capitò e vi pranzò con la figlia Edda, suscitando il trambusto e le preoccupazioni delle autorità locali.

La vicenda della cittadinanza, dunque, è andata com’è andata (male), per ora. Addirittura con strascichi goliardici. Possibilità di rimediare ce ne sono. Come quella di riflettere – certamente con più calma e ponderazione – su quelle anodine caratteristiche bosine alle quali s’è appena accennato. A proposito del nazifascismo, delle sue tragiche ingiustizie, della sua disumana violenza è stato citato, per esempio, in queste settimane, il nome di quell’eroico funzionario comunale, Calogero Marrone (siciliano), che aiutava gli ebrei e gli antifascisti, arrestato e in seguito morto nel lager di Dachau. Sarebbe interessante conoscere chi e perché e in che modo condusse all’arresto il buon Calogero. Allo stesso modo in cui si dovrebbe riflettere su quelle “misteriose” vicende di passatori varesotti che, nelle nostre terre di confine, si facevano pagare sia dalle famiglie di ebrei, promettendo loro di portarle in salvo in Svizzera, sia dai nazifascisti, ai quali invece alla fine venivano consegnate con destinazione Auschwitz invece di Bellinzona o Lugano. O, ancora, sarebbe interessante andare a rileggere come si comportò la “società civile” varesina (notabili, giornalisti, primari di ospedale…) al momento della promulgazione delle leggi razziali. Furono colpe solo e soltanto del fascismo? Solo e soltanto di Mussolini?

La storia non dovrebbe fare sconti a nessuno. E questo è il dibattito al quale piacerebbe assistere, certamente in altre occasioni, perché c’è la crisi che ci minaccia… Magari quelle delle celebrazioni del Giorno della Memoria, senza desiderio di recriminazioni o, tanto meno, di vendette. Ma così, per cercare di capire e di essere aiutati a non commettere, a ogni cambio di stagione, gli stessi errori.

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