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Attualità

VIVI PAPI, IL FOTOGRAFO HIPPIE

SERGIO REDAELLI - 12/07/2013

La “corriera” del Sacro Monte nel 1954. Foto Vivi Papi da http://www.cslinsubria.it

La definizione è di Carlo Meazza, un suo illustre collega: Vivi Papi fu un personaggio schivo e sincero, per certi versi ingenuo. Non era materialista, mostrava disinteresse per i soldi, amava la vita libera, viaggiava su un sidecar e scelse di abitare con la famiglia in una casetta nel bosco al Sacro Monte a contatto con la natura, distaccato dalla realtà, al di fuori del conformismo e lontano dalle regole stabilite. Fu un hippie senza saperlo e fece scelte di vita degne dei figli dei fiori. È uno dei tanti giudizi affettuosi che compaiono nel video realizzato dall’Università dell’Insubria su Vivi Papi (1937-2005), a otto anni dalla morte, presentato in anteprima nella sede degli Amici del Sacro Monte di Ambrogina Zanzi in piazzale Pogliaghi.

Il video, girato da Cesare Gandini con la voce narrante di Marco Airoldi, ripercorre la straordinaria carriera del fotografo varesino attraverso la testimonianza di parenti, amici, colleghi e artisti che tratteggiano aspetti poco noti del suo carattere, concordi nel descriverlo come un uomo paziente, tenace, meticoloso e dalle grandi doti professionali. È un tributo dovuto: infatti, la famiglia ha donato all’ateneo varesino l’archivio fotografico che è ora a disposizione del pubblico e degli studiosi nel Centro di Storia Locale a Villa Toeplitz. “Abbiamo affidato il compito di catalogarlo alla vedova Anna Maria Fumagalli e il riordino è a buon punto – spiega Claudia Storti, direttore scientifico del CSL –. Il Fondo è consultabile su appuntamento scrivendo a: annamaria.fumagalli@uninsubria.it. Dopo averle catalogate, pubblicheremo le foto nella banca dati on-line”.

Vivi Papi (il nome di battesimo, voluto dal padre, è un’esortazione a vivere in libertà) nasce il 10 settembre1937 inuna piccola casa di legno che i genitori stanno costruendo appena soprala Fontedel Ceppo a Santa Maria del Monte, figlio di Aristide diplomato all’Accademia di belle arti di Parma, pittore, fotografo e della seconda moglie Maria Gandini, per tuttila Mariuccia, di una famiglia di casbenatt. È una coppia anticonformista e un po’ naif che decide di non mandare a scuola il ragazzo che cresce autodidatta e scatta la prima foto a undici anni conla Leicadel padre: è un ritratto dei genitori, con il cane, in via del Ceppo. Il giovanotto fotografa di tutto: persone, paesaggi, cerimonie, matrimoni di parenti e, dopo l’iscrizione al CAI di Varese, rocce, morene e ghiacciai.

La sua strada maestra è però la foto d’arte e nel 1958 documenta le condizioni della cripta del santuario di Santa Maria del Monte che cambia il suo modo di fare il fotografo. Si procura nuove attrezzature, un sofisticato impianto per lo sviluppo dei negativi e la stampa e incomincia a girare la provincia con un approccio fra l’arte e la cronaca. Tra i suoi primi lavori c’è un servizio al monastero di Torba per il professor Carlo Alberto Lotti che con gli architetti Ferrari e Invernici, sta curando alcuni articoli per il quotidianoLa Prealpinasulla tutela del patrimonio d’arte e un reportage per Silvano Colombo, direttore dei musei civici di Varese, in cui dimostra la sua particolare sensibilità nel fermare la luce e cogliere l’emozione dell’ambiente.

La carriera accelera. Collabora con l’architetto Bruno Ravasi, poi con Paolo Zanzi curando in modo esasperato la precisione e il dettaglio tecnico. È ormai un professionista affermato anche fuori Varese e i clienti privati gli affidano la riproduzione d’opere d’arte di loro proprietà. Fotografa il Codice Lattanzio, il primo libro stampato in Italia, 400 pagine in pergamena del monastero benedettino di Subiaco con un sistema di vetri che gli consente di mettere a fuoco le pagine. Entra in società con Mario Bianchi, che insegna al liceo artistico Frattini. È gentile, disponibile, capace di trovare una soluzione per ogni problema. Conosce Enrico Baj, fotografa Guttuso che dipingela Fugain Egitto alla terza Cappella.

Dopo il matrimonio e la nascita dei figli, documenta lo stato delle statue sulla Via Sacra, alla vigilia dei restauri, con straordinaria finezza di sentimento. Collabora con monsignor Pasquale Macchi, con il restauratore Angelo Airoldi e nell’84 scatta a Giovanni Paolo II la bella foto d’atmosfera del papa che entra nel monastero delle suore. Gli incarichi si susseguono. Realizza il catalogo della quadreria di Villa Cagnola, dell’Ambrosiana di Milano e dei manoscritti ebraici alla Biblioteca Palatina di Parma, illustra le opere di G.B. Ronchelli, descrive a Morazzone i capolavori di Pier Francesco Mazzucchelli e scatta foto d’arte per libri su Varese, Sumirago, Travedona, Besano, Casale Litta e altri paesi.

Censisce con la Leicaa tracolla i dipinti, le sculture, le miniature, i paramenti, i paliotti, i disegni e le ceramiche custoditi al Museo Baroffio riaperto dopo i restauri, immortala la posa dei vagoni e il varo della funicolare nel 1998-2000, fotografa il giubileo, i concerti, le sacre rappresentazioni e le processioni sulla Via Sacra. “Neppure lui immaginava quanto fosse amato e stimato – chiosa l’arciprete don Angelo Corno –, lo testimonia il funerale semplice e partecipato, nel santuario di Santa Maria del Monte gremito, che si tenne alla sua morte il 6 aprile 2005”. Vivi Papi è sepolto nel piccolo cimitero del Sacro Monte.

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