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Cultura

“FIABE E LEGGENDE DELLA TERRA DEI LAGHI”

CARLA TOCCHETTI - 19/07/2013

“Mia nonna era la più grande affabulatrice della mia famiglia e di tutto il paese, a lei devo moltissimo”. Piano piano, parola dopo parola, Luigi Stadera tira fuori il suo tesoro più prezioso. Non solo memorie personali, ma anche l’obiettivo finale della sua missione di studioso: attraverso una metodologia di studio classica, divulgare la cultura che si tramanda oralmente, traducendola in opportunità per tutti. “Perché possa continuare a restarne traccia per il futuro,” dice il grande vecchio che, coronando venti anni di pubblicazioni dedicate alla ricostruzione delle tradizioni del mondo contadino di questa parte della Lombardia, ha scritto un volumetto dal titolo “C’era una volta. Fiabe e leggende nella terra dei laghi”.

Il meccanismo della tradizione orale è strettamente collegato al dialetto: la lingua madre, lingua del cuore, che merita di non essere dimenticata perché portatrice di una cultura speciale. Dice Stadera: “Per migliaia di anni la gente ha parlato solo una lingua, il dialetto, esprimendo una cultura di tipo antropologico, quella dei contadini che dopo una giornata di lavoro si riunivano la sera intorno al fuoco, pensate a “i bàll dela bona sira.” La lingua imparata dai bambini, a orecchio, ha a che fare con i sentimenti e con il modo di intendere la vita, quindi esprime un intero sistema di valori. La conservazione del dialetto di generazione in generazione, avviene nel modo più semplice citando proverbi, riportando fiabe o leggende, preghiere dialettali, filastrocche per adulti e piccini, ninne nanne”.

“Da questa parte del lago il dialetto non è bosino, noi abbiamo una parlata specifica”, dice con una punta di orgoglio lo studioso cazzaghese, “con una sua identità, diversa rispetto alla città. Non che il lessico non sia lo stesso, ma la pronuncia è diversa (anzi, qui varia persino da paese e paese) collegata al tipo di attività che si svolgevano in questa zona.” La cultura dei paesi che si affacciano sul lago di Varese è profondamente legata alla presenza dell’acqua, che ha portato da millenni i popoli a risiedere sulle sue sponde per procacciarsi il nutrimento. “Per i palafitticoli la prima risorsa alimentare era il pesce, da allora sono cambiate le imbarcazioni, le reti ma non le tecniche di pesca” conferma Stadera, “le popolazioni rivierasche pescavano liberamente (almeno fino all’introduzione della vendita del lago e del diritto di pesca da parte degli spagnoli nel 1652) e coltivavano o mettevano a pascolo le sponde erbose di proprietà comune. È stato il lessico vita dei pescatori e dei contadini pesca a caratterizzare il dialetto delle nostre parti, che sostanzialmente veniva da un latino “rustico” se sfrondiamo le sovrapposizioni dei longobardi”. Questa atmosfera si ritrova anche nella leggenda della nebbia: si dice che gli abitanti di di Cazzago mettano la nebbia nei sacchi e li aprano quando vogliono provocare il nebbione. “La nebbia ha sempre avuto enorme importanza da queste parti, perché in mancanza di bussole, attraversare il lago era un problema, se qualche pescatore si perdeva nella nebbia, i paesi suonavano le campane per aiutarlo ad orientarsi, ma per riconoscere il loro approdo si doveva riconoscere la campana giusta”.

Interessantissima, fra le tante riportate nel libro, la leggenda del Giuanìn senza pagüra. Fra le moltissime versioni, nel libro Stadera riporta quella Arcumeggia, riferita da Gregorio Cerini, che si ritiene sia la più antica perché raccontata da decenni dagli abitanti in un fondo valle piuttosto isolato e quindi non soggetto alla possibilità di contaminazioni culturali, che avvenivano, prima della diffusione della scrittura, attraverso mercanti, venditori ambulanti, soldati. Stadera prova a stabilire un possibile collegamento con la cultura cavalleresca dei cantari medievali che si spostavano di città in città celebravano le imprese del paladino Orlando, “anche se a ben guardare”, dice Stadera “tutta la narrativa orale indoeuropea presenta storie simili”.

Stadera parla del suo prossimo libro, che uscirà in autunno, dalle filastrocche alle preghiere in dialetto, “che non sono tradotte ma sono nate così, sono frutto dell’elaborazione collettiva, avvenuta anticamente con il concorso di persone colte … perché una volta anche le persone che avevano studiato parlavano il dialetto”.

Il grande raccontatore è entusiasta, inarrestabile, amatissimo: e noi, come bimbi che alla sera ascoltano il nonno seduti in tinello, possiamo solo pendere dalle sue labbra e desiderare che non smetta più….

Luigi Stadera, C’era una volta. Fiabe e Leggende nella terra dei laghi. Ed. Menta e Rosmarino. 2013.

Un’intervista a Luigi Stadera sarà trasmessa su Radio Missione Francescana nella trasmissione “Libri e storie”, dedicata a “Menta e Rosmarino”, giovedì 25 luglio alle ore 11.05.

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