Widgetized Section

Go to Admin » Appearance » Widgets » and move Gabfire Widget: Social into that MastheadOverlay zone

Cultura

IL COMPLEANNO DI ZANZOTTO

DINO AZZALIN - 18/10/2013

Il poeta Andrea Zanzotto è stato e resta uno dei più grandi non solo del secolo, ma dell’intera storia italiana, e quando muore un poeta di siffatta statura, il cielo si fa più scuro e il mondo ancora più triste. Quando nel 1950 Giuseppe Ungaretti, Eugenio Montale, Vittorio Sereni, Salvatore Quasimodo e Leonardo Sinisgalli, già poeti laureati, si trovarono come giurati del premio San Babila a giudicare un gruppo di sue liriche inedite composte tra il 1940 il 1948, non esitarono a riconoscerne la grandezza e gli assegnarono il primo premio assoluto.

Andrea Zanzotto allora insegnava in una scuola media del Trevigiano, ma quelle poesie le aveva scritte poco più che ventenne nel pieno di quella guerra, intesa non solo come portatrice di lutti e di violenza, ma anche e soprattutto come stravolgimento del paesaggio tanto geografico quanto interiore. Così ebbe inizio la sua straordinaria carriera di poeta che segnò per più di mezzo secolo la cultura italiana.

Ma Andrea non fu solo un uomo legato alla parola, fu innanzitutto un uomo impegnato civilmente nel suo contesto territoriale e nazionale. La sua lezione era prima di tutto amare il proprio habitat, difenderlo dove possibile, ma con un fare cosmopolita e con un occhio sul mondo. Si eresse sempre a sostegno dei più deboli, gli emarginati, gli oppressi e i derelitti, e fu un ambientalista ante litteram sostenendo che la natura del paesaggio è una condizione prima mentale e poi fisica.

In uno dei suoi primi libri “Dietro il paesaggio” – 1951 – si evince quanto la guerra, combattuta anche sul Montello e nella vallata del Piave, e il disfacimento della natura umana coincidessero anche con la distruzione dell’armonia del paesaggio, concetto ripreso dopo il boom economico, quando la pianura padana fu invasa dal cemento e dai capannoni.

Zanzotto partecipò alla Resistenza veneta nelle file di Giustizia e Libertà con compiti di propaganda e di divulgazione della stampa. Celebre la sua frase in tempi non sospetti: “Provo lo stesso orrore per i campi di sterminio, che per lo sterminio dei campi”, a denuncia di un progresso “scorsoio” che ci ha portato alla crisi globale, distruggendo senza pietà i suoi fiori preferiti, il topinambur e la rosa canina, metafora dello scempio ambientale perpetrato da una urbanizzazione selvaggia e ahimè inutile.

È altresì famosa la sua difesa degli idiomi, i dialetti, insomma della lingua in tutti i suoi aspetti più profondi, e l’amicizia con il cinema di Federico Fellini che gli commissionò i testi in dialetto veneziano per il film “Casanova” (1976) e “La nave va” (1983).

Incontrai presto la sua poesia, grazie a un libro pubblicato proprio a Varese nel 1954, “Quarta Generazione” della Editrice Magenta, antologia di poeti, dove tra gli altri comparivano i primi versi di Alda Merini e i migliori versi italiani dei giovani di allora, tra cui il primo Pier Paolo Pasolini in lingua e David Maria Turoldo. Mi innamorai subito del suo linguaggio privo di accademismi e ben contaminati dalla realtà, fino a leggere in modo, mai esaustivo tutti i suoi libri che a mano a mano uscivano, in particolare la trilogia “Il Galateo in bosco – Fosfeni – Idioma” e lo elessi a mio maestro non solo di versi ma anche e soprattutto di vita.

Fu all’inizio degli anni Ottanta con l’uscita di “Fosfeni” che gli scrissi una lettera e poco tempo dopo con garbata sollecitudine mi rispose: fu l’inizio di una lunga amicizia che si concretò verso la fine del decennio grazie a una comune amica, Luisanna Benfatto, che me lo fece incontrare a Pieve di Soligo. La nostra amicizia divenne anche un “luogo fisico”.

Andrea Zanzotto era particolarmente legato alle nostre Prealpi, prima di tutto per l’amicizia con Luciano Anceschi, Vittorio Sereni e Piero Chiara, Giorgio Orelli, tutti i poeti di lago, e poi perché Varese gli ricordava molto da vicino le colline di Pieve di Soligo dove ha vissuto l’intera sua vita (90 anni li aveva compiuti otto giorni prima della sua morte), solo che qui sentiva di più l’influenza dei laghi che gli evocava il lake district inglese. Così come lo chiamava i Luciano Anceschi, cattedratico dell’Università di Bologna che nella prefazione alla famosa antologia “Linea Lombarda” edita proprio a Varese nel 1952, li aveva definiti i “poeti laghisti”, a lui tanto cari.

 Zanzotto venne poi incluso nell’antologia, pubblicata due anni dopo, della poesia giovane con la prefazione di Luciano Erba e Piero Chiara. Tornò spesso a Varese ma in forma privata ospite nella mia casa del Faido e durante le feste del 10 Agosto dedicate alla poesia e al pianto di stelle di San Lorenzo, dove per più di vent’anni ho riunito il meglio dei poeti e della poesia italiana e del territorio varesino.

Mitico l’incontro del 1993, tra Zanzotto e Alda Merini, e con Baj e l’amico editore Nicola Crocetti, che diedero inizio a una notte davvero indimenticabile, al punto tale che Franco Buffoni, poeta presente al convivio, disse: “Dopo di loro nessuno avrebbe più letto un verso”. E fu così, che rimase nell’aria una grande anima nel soffio divino della loro poesia.

Nei giorni a seguire Andrea amava stare ore a guardare il lago, sua maestà il monte Rosa, con le Alpi o fare passeggiate al Poggio o rinfrescarsi alle Grotte di Valganna; la notte per via dell’insonnia stava in piedi a correggere i refusi che trovava nei suoi libri bene in vista nella mia biblioteca, oppure a leggere testi di varia natura. Compose una poesia anche per la nascita di mio figlio Riccardo. Amava passeggiare per la città, curiosare nei negozi degli artigiani, bearsi della visita ai Giardini Estensi.

Nel 2001 la città di Varese nel corso della rassegna Amordilibro, voluta da Giuseppe Armocida, rese omaggio a Palazzo Estense a due giganti come Enrico Baj e Andrea Zanzotto. Fu un incontro davvero emozionante in una sala stracolma e attenta. Nel 2006 mi fece dono di una immeritata prefazione all’ultimo mio libro di versi “Prove di memoria”edito da Crocetti.

Mi sono recato molte volte a Pieve di Soligo, ho portato molte persone a conoscerlo, e una volta Claudio Del Frate, oggi giornalista del Corriere della Sera, dopo averlo accompagnato con me in auto da Varese a Pieve di Soligo, mi disse che solo sentirlo parlare valeva il viaggio di andata e ritorno. Ma anche grazie a Marisa, sua moglie, ai figli, in particolare Giovanni, ebbi sempre una allegra accoglienza, anche con amici e poeti, fino all’ultima festa dove ebbi l’onore di essere tra i pochi invitati per i suoi 88 anni. Non ci siamo mai persi di vista, ci telefonavamo spesso, l’ultima volta l’ho visto al suo penultimo compleanno fino a qualche giorno prima del suo Novantesimo e pochi giorni dopo alla sua scomparsa.

Credo che il modo più bello per ricordarlo due anni dopo sia presentare un libro a lui dedicato “Dirti Zanzotto” appena uscito per i tipi della Nem (Nuova Editrice Magenta) e curato da due autorevoli studiosi Niva Lorenzini e Francesco Carbognin, che raccoglie molti interventi inediti e gli atti del convegno 2011 tenuto all’Università di Bologna in suo onore, subito dopo la scomparsa.. E il miglior modo per continuare a leggere i suoi versi è indagarne la straordinaria tridimensionale bellezza.

Buon Compleanno Andrea!

 

Dimmi che cosa ho perduto,
dimmi in che cosa ci siamo perduti.
E perché così tanto
quasi tutto…
Dimmi perché questo disamore
per sempre.

da Galateo in Bosco, di Andrea Zanzotto

Facebooktwittergoogle_plusredditpinterestlinkedinmail

You must be logged in to post a comment Login