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Cultura

MONTINI, MACCHI E L’ARTE

ALBERTO PEDROLI - 15/11/2013

Paolo VI, sorretto da Pasquale Macchi (alla destra del Pontefice)

L’assessore alla cultura, Simone Longhini, ha recentemente comunicato l’intenzione di dar vita ad una rete museale integrata tra le realtà civiche già presenti nel Comune di Varese – Villa Mirabello, Castello di Masnago e Sala Veratti – ed il costituendo museo della Fondazione Paolo VI per il Sacro Monte di Varese alla Prima Cappella.

Lodevole iniziativa senz’altro, tanto più se avrà il sostegno della Fondazione Cariplo, tra i pochi enti ancora in grado, in questi tempi di vacche magre, di sponsorizzare progetti culturali. Creare una rete museale, pur con le inevitabili difficoltà dovute alle proprietà diverse, può essere utile a promuovere ed offrire servizi a realtà spesso poco conosciute come le nostre nonostante una ricchezza indiscussa: quanti, tra gli stessi varesini, per fare un esempio, conoscono gli affreschi quattrocenteschi del Castello di Masnago e i dipinti di grandi artisti del Seicento lombardo, dell’Ottocento, del Novecento che vi sono conservati? O hanno visitato la rinnovata sede di Villa Mirabello con le collezioni preistoriche legate alla cultura di Golasecca ed alla civiltà delle palafitte e con l’innovativa sezione dedicata al Risorgimento ed alle gesta di Garibaldi che proprio a Varese combatté la prima battaglia della seconda guerra d’indipendenza?

Ma da dove nasce e soprattutto che cosa ospiterà il museo della Fondazione Paolo VI prossimo all’apertura (si dice nella prossima primavera) nell’edificio già ristorante albergo “La Samaritana” appena dopo l’arco della Prima Cappella? La sua origine è legata alla figura, tutta varesina, di monsignor Pasquale Macchi, per ben ventiquattro anni segretario particolare di Giovanni Battista Montini, prima Arcivescovo di Milano e poi Papa Paolo VI e che, morendo nel 2006, ha lasciato molti beni e ricordi personali alla Città di Varese per il tramite della Fondazione intitolata al pontefice. Impossibile al momento sapere di più, poiché il progetto di allestimento è tuttora al vaglio della competente Soprintendenza, ma lo stesso ruolo giocato da Paolo VI e dal suo segretario nel campo dell’arte sacra già danno la misura dell’importanza che il nuovo spazio potrà assumere.

Montini e Macchi costituirono infatti una “accoppiata” vincente che aprì le porte della Chiesa ad una nuova stagione culturale di respiro mondiale anticipando lo stesso concilio Vaticano II: fu proprio Montini, nominato Arcivescovo a Milano nel 1954 a porre fine alla diffidenza verso l’arte contemporanea che aveva caratterizzato la Chiesa dall’inizio del Novecento (quando si affermarono le prime “avanguardie storiche”) invitando i maggiori architetti del momento (Figini e Pollini, Gio Ponti tra questi) a cimentarsi nella costruzione di nuove chiese a Milano e ridando nuovo slancio al Comitato Nuove Chiese, creato dal suo predecessore cardinal Schuster nel 1937, nominandovi presidente il vulcanico Enrico Mattei.

Memorabile poi il discorso pronunciato agli artisti il 7 maggio 1964, dove, dopo aver fatto il “mea culpa” perché a lungo “…siamo ricorsi ai surrogati, all’«oleografia», all’opera d’arte di pochi pregi e di poca spesa” proclamava giunto il momento di “fare la pace” con gli artisti per riportare quella bellezza di cui il mondo ha bisogno, insieme alla verità, come ancora ebbe a dire con splendide parole a conclusione del Concilio l’8 dicembre 1965.

Per documentare la capacità dell’arte contemporanea di esprimere il senso religioso venne anche creata nel 1973 la Collezione d’Arte Religiosa Moderna nell’ambito dei Musei Vaticani formata prevalentemente con donazioni, alla cui definizione e realizzazione certamente monsignor Macchi giocò un ruolo importante.

Di tutto questo una traccia resterà dunque alla Prima Cappella, anche se molte opere sono confluite nella Collezione Paolo VI esposta a Concesio, nei pressi della casa natale del pontefice bresciano ed altre, prevalentemente di tema mariano, sono già esposte presso il museo Baroffio al Sacro Monte. Sicuramente vi saranno opere di quegli artisti con i quali Macchi ebbe un rapporto di stretta amicizia e che venivano particolarmente apprezzate da Papa Montini: Floriano Bodini, Aldo Carpi, Pericle Fazzini, Luigi Filocamo, Enrico Manfrini, Luciano Minguzzi ed altri. Impossibile poi dimenticare Guttuso il cui invito proprio da parte di Macchi a riaffrescare la Terza Cappella con la Fuga in Egitto e che allora suscitò anche aspre polemiche potrà forse essere meglio compreso ed inquadrato in quella cornice di fiducia e di nuova “alleanza” con l’arte contemporanea di cui si fece portatore – con il suo segretario – il defunto (e Venerabile) Pontefice, innovatore come pochi nonostante quel “distacco” che ancora sembra contraddistinguerlo almeno rispetto alle figure papali che lo precedettero e lo seguirono.

A queste potenzialità altre se ne aggiungeranno nel nuovo museo – e la rete non potrà che incrementarle – come la creazione di una sala multimediale che guidi turisti e pellegrini al Viale delle Cappelle nella comprensione del “gran teatro montano” per usare l’efficace definizione di Testori.

Non resta che l’auspicio ad affrontare con realismo, valutandone tutte le variabili, il serio problema dell’accessibilità alla montagna sacra e che condiziona certamente la fruibilità anche del nascente museo alla Prima Cappella: un progetto esiste ed è frutto di una ampia sinergia, esistono davvero soluzioni alternative e di minor impatto ambientale?

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