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Ambiente

ALLARME PIANETA

LIVIO GHIRINGHELLI - 29/11/2013

Dall’11 al 22 novembre 2013 si è svolta in Polonia la Conferenza annuale sui cambiamenti climatici e di fronte allo tsunami verificatosi nelle Filippine il rappresentante di quel paese, Naderev Sano, ha proclamato lo sciopero della fame per protesta contro l’enorme, prolungata indifferenza e inconcludenza delle soluzioni concernenti il riscaldamento del pianeta, cui si collega con tutta probabilità per gli scienziati del clima lo scatenarsi di uragani così disastrosi in successione. E si aggiungono tifoni, cicloni e tornado. La riduzione delle emissioni che provocano l’effetto serra diventa poi più difficile in tempi di recessione, per cui i negoziati che intercorrono tra centonovanta paesi paiono più esercizi politici che occasioni di vera e propria trattativa.

È poi significativo che la conferenza dell’ONU si sia tenuta in un paese come la Polonia, la cui economia è fondata sulla fonte più inquinante, il carbone, che è la più diffusa e utilizzata risorsa energetica. Ci si è mossi per un nuovo accordo globale dopo la fine del protocollo di Kyoto e momenti ulteriori di discussione e di negoziato si avranno a Lima nel 2014 e nel 2015 a Parigi. Con i ritardi già al momento accumulati è persino ottimistico prevedere che per la fine del secolo ci si attesti sull’aumento preventivato e temuto di due gradi, che sarà superato con conseguenze veramente allarmanti per le prospettive di vita sul pianeta. Si teme un incremento delle temperature medie del 3,6%. Ancora nel 2012 si sono concessi 544 miliardi di dollari per sussidi agli investimenti in fonti fossili e solo 100 per le fonti rinnovabili. Il comparto energia è responsabile per due terzi nella creazione dei gas serra, per cui è indifferibile il ricorso a maggiori misure di risparmio ed efficienza nel settore.

Ora poi succede che vari paesi tradizionalmente esportatori diventino centri di crescita della domanda ad accrescere i guai. Gli USA da importatori si fanno esportatori e l’Asia negli ultimi mesi del 2013 è divenuta il maggiore importatore di petrolio del pianeta. La Cina risulta il primo produttore mondiale di carbone. In Europa il carbone copre il 30% della domanda elettrica. Se la Polonia consuma 77 milioni di tonnellate all’anno di carbone (lo brucia a go-go), ci si preoccupa anche dei consumi e importazione riguardanti l’Inghilterra (+ 24%), la Francia (+ 20%); la Germania, che ha rinunciato al nucleare, ricava però il 50% di energia da combustibile fossile.

Per quanto concerne l’Italia viene importato il 93% del petrolio e il 91% del gas consumati. Solo il 12% dell’energia impiegata è ricavato dalle fonti rinnovabili (mare, sole, vento). Il consumo di carbone è diminuito attraverso il ricorso al gas. Nel biogas siamo secondi nell’Unione Europea dopo la Germania (può fornire il 10% del gas naturale consumato). Purtroppo da noi si è verificato un flop del solare a sette anni dal lancio (il costo annuo degli incentivi alla produzione da impianti fotovoltaici è di 6,5 miliardi di euro ). A fine 2011 l’87,9% della potenza così installata proveniva dalle società, non da famiglie. Oggi risulta il sistema più costoso per la riduzione delle emissioni: eolico e idroelettrico costano cinque volte meno. Per l’auto elettrica bisogna ricorrere a investimenti enormi per risultati deludenti. Comunque il tema verde è entrato, sia pure in misura ancora insufficiente, nella cultura di massa.

Constatazione: nell’emisfero settentrionale il periodo 1983-2012 è risultato il più caldo degli ultimi 1400 anni; il livello medio del mare nel periodo 1901-2010 è cresciuto di 19 centimetri e si prevede che la popolazione mondiale a fine secolo ascenderà a 11 miliardi. Entro il 2020 l’Italia dovrebbe ridurre i consumi almeno del 20% e produrre il 20% dell’energia da fonti rinnovabili.

Non meno preoccupante per l’Italia è la messa in sicurezza del territorio nazionale, le aree a elevata criticità idrogeologica rappresentano il 10% della superficie e riguardano l’81,9 % dei Comuni (6.633), in cui vivono 5,8 milioni di persone (il 9,6 % della popolazione nazionale, per 2,4 milioni di famiglie). Si tenga poi conto dell’elevata vulnerabilità del patrimonio edilizio; oltre il 60% degli edifici sono stati costruiti prima dell’entrata in vigore della normativa antisismica. L’Italia conosce il 68% delle frane europee. Per i danni provocati da eventi franosi e alluvionali nel periodo intercorrente tra il 1951 e il 2009 si sono dovuti spendere più di 52 miliardi di euro. A partire dal 1900 i morti sono stati 12.600; 700.00 i dispersi, i feriti, gli sfollati. E dobbiamo lamentare un aumento esponenziale degli eventi estremi. Per gli investimenti di carattere preventivo non ci possono essere ulteriori ritardi.

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