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Cultura

LA QUESTIONE TEATRO

LUISA OPRANDI - 06/12/2013

La facciata del vecchio “Sociale”

Era l’ottobre 1779 e a Varese, con la rappresentazione di un’opera di Salieri, veniva inaugurato il Teatro Ducale, che sorgeva non molto lontano da dove sarà poi collocato nei primi anni Duemila il “provvisorio” Teatro tenda, che, per nulla provvisorio, ancora è per capienza l’unica struttura in grado di una ricezione consistente.

Ma torniamo al vanto del Ducale e ad alcuni cenni di cronaca locale: a fine novembre 1778 il duca Francesco III, da poco più di un decennio anche signore di Varese, ricevette dal varesino Giovan Battista Fontana la richiesta esplicita di arricchire il Borgo con un Teatro. L’edificio fu realizzato in meno di un anno, nella sala grande dello Spedale situato tra piazza Giovine Italia e via Donizetti. E nell’autunno del 1779 ci fu la prima, grazie alla copertura economica di alcuni privati e alla caparbietà del Fontana che voleva assolutamente dotare Varese di un Teatro che potesse fare da eco, se pur su scala ridotta, alle rappresentazioni date alla Scala di Milano, inaugurata solo nell’agosto di un anno prima.

È bello ritrovare questo sottile filo della memoria d’archivio che ci consente di legare Varese al bel canto, al melodramma, alla danza fin dal XVIII secolo. Il Ducale rappresentava la voglia di cultura che in città si respirava e che, non solo ma certamente anche grazie alla costruzione di un teatro, riuscì nel tempo ad allargare l’interesse culturale verso più ampi strati di popolazione, così che quando terminò la convezione che consentiva le rappresentazioni nel teatro ricavato allo Spedale, i fruitori non risultarono più essere solo i ceti nobiliari e alto-borghesi. Per tale ragione, sempre a opera di alcuni privati, si arrivò alla costruzione nel 1791 del Teatro Sociale, il quale non resistette però alle vicende storiche di primo Novecento e venne progressivamente abbandonato. Furono alla fine il boom economico del dopoguerra e certa mediocrità amministrativa a fare scempio della connotazione urbanistica ed architettonica della città, privandola definitivamente anche del suo teatro. Era il 1953 quando il Sociale venne abbattuto dalle ruspe e, dopo sessant’anni, siamo ancora in attesa che ci venga restituito.

È da allora che ad ogni campagna elettorale l’argomento sale alla ribalta della cronaca, fino a che nel gennaio 2002 il celeberrimo concerto di Paolo Conte aprì la storia del teatro tenda varesino, una sorta di “ponte” in attesa della costruzione – anche allora ritenuta prossima – di un teatro finalmente stabile. Qualche novità parve profilarsi all’orizzonte poi nell’ottobre di tre anni fa, quando venne ufficialmente comunicata dalla Amministrazione cittadina la certezza di una proposta in projet financing da parte di un privato, a garanzia della costruzione del nuovo teatro in piazza Repubblica entro l’inizio del 2012. Ma all’inizio dello scorso anno l’Amministrazione rese pubblica la nuova intenzione di realizzare il teatro cittadino all’interno della caserma Garibaldi, acquistata nel 2007 sebbene in mancanza di una chiara strategia di destinazione da parte della giunta.

Ci guardiamo attorno e vediamo come gli altri capoluoghi lombardi o diversi comuni della nostra stessa provincia abbiano scelto di valorizzare il teatro stabile come emblema e simbolo della cultura per tutti. E pure Varese risponde positivamente alle proposte offerte, come dimostrano gli abbonamenti alla stagione teatrale e musicale. Come dire che se lo meritano un teatro i nostri concittadini. Viene allora da chiedersi perché l’attenzione della Amministrazione si sposti invece, come sta accadendo ultimamene, verso scelte differenti da quella di dotare la città di un pubblico luogo stabile della cultura e per tutti. Tanto che l’opportunità di costruire finalmente un teatro non è stata presa in considerazione di fronte alla grande possibilità di accedere al bando Cariplo per progetti “emblematici”, specifici di un territorio e, con una positiva sinergia tra pubblico e privato, finalizzati a cambiare in meglio le condizioni di vita delle persone. I varesini avrebbero apprezzato.

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