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Opinioni

IL GENIO DI CETTO GERVA

ROBERTO GERVASINI - 06/12/2013

Il mio modello imprenditoriale è Cetto Laqualunque. Il suo motto è inattaccabile, se si cambia una vocale. “Più pila pe’ tutti”, qualunquemente fatta. Pila intesa, per noi lombardi, come mucchio di denari.

Qualunquemente vuol dire qualunquemente, e possibilmente, e tassativamente, senza usare tante scartoffie: né commeccialisti, Imu, Tares, Icu, Irpef, Irap, Iva, Giuseppina, Cettina…cacio cacio.

Intanto bisogna diversificare gli investimenti, toccare con mano tutti i settori, quelli imprenditoriali e no. E mi avete capito… pila e pilu.

Ho iniziato prendendo un pullman a noleggio a Milano. La mattina, dopo un ricerca di mercato scientificamente condotta da un mio vecchio amico etilista cronico in tutti i locali out della fascia milanese, passavo, senza patente, col pullman, in due piazze della fascia est e, dopo aver caricato una trentina di alternativi al lavoro, li scaricavo in centro città, anche a Varese. Non capisco perché poi ci voglia una patente per guidare il pullman, mica ha due sterzi o due acceleratori.

Dono a questi alternativi al lavoro, a noleggio, a volte in comodato semigratuito, bastoni e stampelle e cappelli per raccogliere scientificamente le elemosine, le offerte. Ho fatto con loro un tacito contratto verbale: di quello che incassano con le elemosine mi devono dare 20 euro per il trasporto più il 50 percento del rimanente. In pratica questi alternativi al lavoro, che non fanno nulla per motivi etici e a volte etilici, portano a casa più di un operaio a zero ore in cigs. Sono o non sono un’opera pia? San Cetto dovrebbero chiamarmi, altro che Gerva.

Da anni ho un accordo sempre tacito, nel senso che non lo abbiamo detto neanche ai vigili urbani e sempremente anche alla Finanza, come è dettato del mio sempremente valido codice etilico, con dei pakistani.

Con lo stesso pullman che torna a Milano tutte le sere con gli alternativi al lavoro settore elemosine, rientro a Varese, dopo le 18, coi pakistani e un quintale di rose trattate al mercato clandestino giorno per giorno.

Questi li piazzo sotto tutti i semafori della città con un mazzo di rose a testa dopo averli costretti a lavare i denti col bicarbonato e la candeggina perché così sorridono meglio. Gli do venti euro per sera più le mancette che raccolgono loro, il resto lo incasso tutto io.

All’inizio ho rischiato – il rischio imprenditoriale esiste – e lavoravano tutti in nero, senza documenti neppure fiscali. La volontà c’era, per far finta di esser regolari e ho fatto fare ai pakistani prima uno stage e poi un master a pagamento per insegnargli a fare le ricevute fiscali con una mano sola, l’altra occupata dal mazzo di fiori. La cultura e l’istruzione sono alla base del nostro lucente futuro. È stato inutile, dopo quattro mesi di corsi e di master a pagamento hanno rinunciato e ho dovuto rassegnarmi a non far fare nessun documento.

Lo Stato non può chiedermi l’impossibile. Nessuno, neanche un funzionario, sa scrivere su un block notes, in piedi, senza appoggi, con una mano sola. Dovrebbe saperlo fare un asiatico nullatenente?

Dove non c’è rischio, ultimamente, è nella raccolta fondi. Fai uno statuto, dici di esser una onlus, raccogli fondi. La mia onlus “Cetto pe’ tutti” usa il sistema ormai consolidato anche nelle onlus internazionali: il 65 percento resta attaccato per le spese e la spesa di casa e il resto va a chi deve andare, secondo la pubblicità del momento. Sono troppo generoso, qualunquemente la si voglia girare.

“Cetto pe’ tutti onlus” raccoglie migliaia di euro sulle strade. Così ho messo in regola anche il marito di mia sorella, come impiegato di primo livello del commercio, tempo pieno; e i miei nipoti. È sangue del mio sangue.

Adesso non mi diranno che vanno a controllare anche chi fa beneficenza, cacio cacio.

Se è vero che aiuto i disoccupati e gli extracomunitari senza documenti, son pur sempre figlio di questa terra. I vecchi? Gli anziani? Gli invalidi? Cetto Gerva ha pensato a tutti. Ho messo in piedi una società srl con mille euro di capitale. Gestisco colf e badanti. Sono arrivato a cento dipendenti, quasi tutti piazzati nelle abitazioni degli anziani e invalidi, poveretti. Come possono beccarli? Ci sono tracce di movimento di soldi e quindi mi sono detto: “È meglio non rischiare tutto”, contrariamente a quanto ha sempre sostenuto Mike Bongiorno. Le colf e le badanti le faccio figurare come lavoratori occasionali, cinquemila euro per tutto l’anno solare e trenta, solo trenta, giorni al massimo di lavoro, anche se lavorano dodici mesi a dodici ore al giorno, tempo pieno.

Faccio fare una bella ricevuta con ritenuta d’acconto per lavoro occasionale e così non pago nulla a Inps e Inail. Si era fatto vivo il console romeno di Milano, ma aspettiamo sviluppi. Sto andando avanti da lustri. Tutto a posto. Adesso lo Stato, che non controlla le onlus mica vorrà controllare i lavoratori che assistono dei poveri anziani e degli invalidi. I guadagni li porto tutti in Svizzera, in contanti, di mattina, dai valichi incustoditi. Questo inverno, per un giorno, porto nel mio chalet nuovo di pacca a Savognin tutti i miei collaboratori imprenditoriali.

Cetto Gerva è un generoso. Vuol bene a tutti.

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