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Divagando

OTTO ORE NELL’INDEGNA BARELLAIA

AMBROGIO VAGHI - 17/01/2014

Il Pronto Soccorso dell’Ospedale di Varese per le sue croniche criticità è diventato ormai una annosa telenovela della quale tutti parlano, tutti promettono ma che non giunge mai ad una soluzione. Non sarebbe neppure il caso di parlarne tra noi per non annoiare i nostri lettori se non fosse per l’importanza del problema che coinvolge nel bene e nel male tanti cittadini e per due fatti recentissimi: la massa degli infermieri costretti a rivolgersi ad avvocati per difendere la loro dignità di lavoratori e per l’improvvisa visita – ispezione che l’assessore regionale alla Sanità Mario Mantovani ha effettuata a Varese il mattino del 13 gennaio. E se non fosse che RMFonline ha avuto l’avventura di avere sul luogo un involontario “inviato speciale”, chi scrive, pronto a riferire fatti e sensazioni di prima mano.

Domenica 12 gennaio verso mezzogiorno un incidente domestico mi procura una preoccupante ferita al cranio che richiede d’andare al Pronto Soccorso. Sono quasi le 13, modesto affollamento, per cui non so con quale tipo di codice ma penso il minore,vengo immatricolato. Dopo una breve attesa sono prelevato da un infermiere ed introdotto nell’enorme corridoio della “barellaia” (anche un neologismo hanno creato per questa vergogna!) davanti all’entrata della sala dei primi interventi di chirurgia e traumatologia. Una ulteriore attesa, fortunatamente la ferita ha cessato di sanguinare e finalmente passo nelle mani del medico dirigente. Persona affabile, professionalmente preparata, con occhio clinico che inquadra subito il soggetto che ha sottomano. La ferita lacero contusa viene ridotta con punti di sutura ma giustamente sono necessari altri controlli, un esame radiografico al cranio e una TAC all’encefalo. Mentre la radiografia sarà eseguita in tempi brevi la TAC deve essere correttamente rinviata alle ore 20 in conseguenza dei medicinali in uso. Così, prima delle 14, inizia la lunga attesa del paziente più che mai… paziente, tenuto a digiuno di acqua e cibo. E ha inizio, seduto su una panchina a fianco dell’ultimo ammalato della “barellaia”, in una posizione strategica, il servizio del vostro inviato proprio speciale. Sei ore di osservazione di una umanità sofferente che poi diventeranno più di otto in attesa di un referto della TAC che non arrivava mai.

La prima cosa che colpisce è la visione di questa “barellaia” una specie di ospedale da campo dove si trattengono in transito, talvolta per più giorni, le persone in attesa che si liberi un letto nei reparti di cura. Una promiscuità dolorosa, in un miscuglio di voci, di lamenti, di urla dei barellati davanti ai quali sfila tutto il via vai di parenti, di infortunati, di ammalati anche gravi e di tutto il personale sanitario. Un personale vestito di multicolori. C’è il bianco dei camici, il verde scuro, il verdino pastello, il blu, il bianco a strisce azzurre. Sembrano farfalle in continuo movimento, ma tutte con un compito ed un indirizzo preciso. Osservo e mi sembrano tante. Troppe? Certamente è una falsa impressione. Se mai si tratta di personale che si impegna al massimo ma è male utilizzato, male organizzato. Per colpa di chi? Di dirigenti non all’altezza del compito e di procedure discutibili? Questo è il dubbio che viene a chi scrive e che ha avuto qualche approccio professionale con la gestione delle risorse umane e con l’organizzazione del lavoro. Se il personale infermieristico ha fatto ricorso al sostegno di un legale per chiedere lavoro meno stressante e condizioni più dignitose nel trattamento dei pazienti, siamo davanti ad un fatto veramente inusuale.

Osservo l’accesso dei nuovi arrivi. Sono persone che entrano in barella, tutte parecchio anziane, accompagnate da famigliari che reggono borse con qualche indumento e generi di necessità. Vanno ad aggiungersi alla fila già lunga e ne iniziano una nuova, fuori dalle tende. Sono una trentina i “barellati” in aspettativa e nel lungo periodo della mia attesa soltanto una persona con un femore spezzato ha lasciato la barellaia per essere avviata al reparto. Da quanto tempo era lì? Altri arrivano con traumi modesti e si fermano accanto a me in attesa di essere chiamati nella sala di interventi. C’è la ragazza caduta da cavallo, con una distorsione al piede. C’è il bambinetto ferito alla nuca ed una bella bambina che non evidenzia malori, anzi giocherella e rilegge la lezioncina di aritmetica. Tutti affettuosamente accompagnati dalle rispettive mamme, preoccupate quanto mai. Arriva anche il calciatore con caviglia slogata. Accertamenti del caso e tutti rapidamente rinviati a casa. Il tempo non passa mai. Tra le 18.30 e le 19 viene servita la cena serale. Un bel daffare per le inservienti, ma vedo che pochi degenti mangiano. Dopo le 19.30 vengo finalmente chiamato per il mio esame. Il medico operatore ed il tecnico mi tranquillizzano: buono l’ esito e mi riaccompagnano al solito sedile dove dovrò aspettare il referto scritto. Penso sia cosa di pochi minuti. Sono ormai le 20 e mi aspetto la dimissione quando un altro paziente mi raggela. Ha fatto anche lui la TAC alle ore 17.30 e non ha ancora avuto il referto. Che gli giunge in quel momento. La lunga attesa comincia a spazientirmi. Anche il mio referto TAC non arriva mai nelle mani del medico dirigente che doveva dimettermi, peraltro continuamente occupato da urgenze. Ore perse per passare da una stanza all’altra o da un computer all’altro! Ma c’era il “medico referente”? E se si fosse evidenziato un fatto grave chi lo avrebbe segnalato con urgenza? Se tanto mi da tanto per codici minori, immaginiamoci il resto. Questo mi sembra il tema: l’organizzazione sanitaria. Agli apici ci saranno anche bravi medici che dimostrano però di saperne molto poco di gestione delle risorse umane e di organizzazione del lavoro.

Il mattino dopo, lunedì alle ore 8 strombazzata visita lampo dell’Assessore Regionale Mantovani al Pronto Soccorso e giudizio icastico “Questa situazione è indegna”. Bene, bravo, bis, verrebbe da dire. Ma è l’ultimo di una catena di Assessori che viene, vede e …promette. Intanto le teste d’uovo si ripropongono il dubbio amletico: all’Ospedale di Varese servono più letti o più infermieri? L’assessore Mantovani, viste le carte, ce lo dirà tra quindici giorni. Intanto il potente consigliere regionale Raffaele Cattaneo subodora una manovra per trovare capri espiatori nella dirigenza dell’Ospedale tutta composta da ciellini. Pare sia iniziato uno scontro per la ridistribuzione politica dei dirigenti, dopo la scissione nelle fila dell’ex PDL. Ci mancherebbe anche d’assistere ad una guerra per bande di personaggi con in tasca tessere diverse. Intanto il Governatore Roberto Maroni fa il pesce in barile: affari loro, cioè degli alleati e così si dimenticano anche le responsabilità pesanti dei precedenti assessori leghisti alla Sanità Regionale.

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