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Attualità

BOOM ECONOMICO E ANTICHE PAURE

CESARE CHIERICATI - 14/02/2014

Sarebbe un’ingenerosa forzatura attribuire al voto nella vicina Svizzera una connotazione razzista o xenofoba. Come è noto il 50,5 per cento dei votanti ha detto sì alla reintroduzione di un limite – non un blocco – all’immigrazione battendo di strettissima misura i contrari (49,5 per cento). Una manciata di voti che comunque fa la differenza nonostante il Governo federale e il Parlamento fossero decisamente contrari alla proposta dell’Unione Democratica di Centro ( UDC), il partito di destra primo e più importante sponsor dell’Iniziativa Popolare votata domenica scorsa. In concreto la maggioranza dei votanti elvetici chiede più o meno di ritornare alla situazione precedente l’entrata in vigore della libera circolazione delle persone nella UE quando l’afflusso dei lavoratori stranieri era subordinato a contingenti e a permessi di carattere amministrativo che privilegiavano comunque, a parità di requisiti professionali, i cittadini rossocrociati.

Nel giro di pochi anni la situazione si è ribaltata e soprattutto nei Cantoni confinanti con Italia e Francia, entrambe in crisi economica sia pure con marcate differenze strutturali, si è verificata una caccia vera e propria al “posto” in una Svizzera impermeabile alle difficoltà del resto d’Europa ma in perenne deficit di mano d’opera indigena. Il che ha innescato una corsa al ribasso dei salari rispetto agli standard medi, sfruttata peraltro senza remore dall’imprenditoria locale e la conseguente emarginazione di molti cittadini svizzeri nell’industria, nel terziario e nell’artigianato. Un processo maturato a grande velocità che le amministrazioni cantonali non hanno saputo o potuto controllare.

Questa situazione è andata a sommarsi ad almeno altri tre elementi che nella storia recente della Confederazione hanno avuto e hanno un peso determinante:

1) la preoccupazione, legittima, che un aumento senza limiti degli stranieri residenti e dei frontalieri possa alla lunga provocare un ulteriore perdita dell’identità nazionale. Oggi la Svizzera ha 8 milioni di abitanti e il 24 per cento sono stranieri, in Italia sono il 7/8 per cento su 60 milioni;

2) Un’atavica diffidenza verso norme e trattati che possano in qualche modo limitare la sovranità nazionale. Non da oggi la Confederazione guarda a Bruxelles come a un partner con cui è giocoforza trattare (sono in essere molteplici accordi bilaterali anche molto vantaggiosi ora a rischio cancellazione dopo il voto di domenica) ma verso il quale si nutrono perplessità più che fondate. Smarrite o quanto meno offuscate le motivazioni originarie, l’Europa di oggi è un interlocutore problematico;

3) il mito di una crescita economica inarrestabile propiziata dalla potenza finanziaria, da una sostanziale “pace sociale”, da un processo di industrializzazione ad alto contenuto tecnologico, da una crescita immobiliare ormai al limite della sostenibilità in relazione alla dimensione del territorio elvetico.

Per inseguire quest’ultima meta molti Cantoni (Ginevra, Neuchatel, Ticino e altri ancora) hanno offerto alle imprese dei paesi confinanti condizioni estremamente vantaggiose per delocalizzare in terra svizzera mettendo sul piatto della bilancia l’efficienza dei propri servizi, il credito a buon mercato, la snellezza degli apparati burocratici. Lo slancio espansivo ha inevitabilmente gonfiato il numero dei lavoratori frontalieri (28 mila dieci anni fa, 60 mila oggi sul versante insubrico) il cui quotidiano afflusso e deflusso grava pesantemente su strade e autostrade generando irritazione e crescente malumore tra i residenti svizzeri e non. Insomma una situazione che è sfuggita di mano e che ora lo stop fissato dalle urne complica inevitabilmente. In proposito il testo dell’Iniziativa non dà indicazioni, si limita a imporre entro tre anni al Governo federale nuovi negoziati con la UE sul controllo e la gestione dell’immigrazione auspicando che sia “un’iniziativa ragionevole e moderata”.

Insomma una pagina tutta da riscrivere con la UE ma anche con gli esecutivi dei paesi confinanti. In merito è opportuna la decisione bipartisan della Regione Lombardia di affiancare Roma nelle prossime trattative. Una garanzia per i frontalieri perché molti ministri e altrettanti funzionari ministeriali ignorano completamente il fenomeno e rischiano di ripetere le assurdità dello “scudo fiscale” che imponeva di “scudare” anche i conti bancari su cui transitano gli stipendi dei lavoratori di confine. Ci volle qualche mese per far capire alle burocrazie romane e all’Agenzie delle Entrate che evasori ed esportatori di capitali erano due realtà assolutamente differenti.

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