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Politica

LA STAFFETTA E L’IMPROBABILE TRAGUARDO

CAMILLO MASSIMO FIORI - 14/02/2014

In Italia la situazione politica è alquanto paradossale: le ultime elezioni politiche non hanno prodotto, neppure con il consistente premio di maggioranza, una condizione di stabilità e di governabilità. Il Parlamento non è neppure riuscito ad eleggere il Capo dello Stato e si è dovuto richiamare in servizio il saggio ma non più giovane Giorgio Napolitano. A malapena le forze politiche hanno varato il “governo di larghe intese” presieduto da Enrico Letta ma le diffidenze e le incomprensioni hanno provocato una scissione nel partito di Berlusconi e la nuova dirigenza del Partito Democratico ha guardato con freddezza e distacco all’esecutivo che formalmente sostiene.

In questo partito, già profondamente diviso in correnti, la scelta di Matteo Renzi attraverso le “primarie” ha costituito una netta discontinuità con il passato che è stata accolta con difficoltà oppure con opportunismo da parte del personale proveniente dalla precedente esperienza, influenzando negativamente anche i rapporti tra i due leader.

Al governo Letta è mancato pertanto un appoggio pieno ed effettivo da parte del PD e l’azione di governo, pur essendo positiva, non è sempre stata all’altezza delle necessità del Paese.

Di qui le aspettative di alcune componenti del Partito Democratico e di alcuni settori della società di proporre la “staffetta” tra il compassato Letta e lo scalpitante Renzi. Dopo una riunione interlocutoria della direzione lo “show down” è stato rinviato di un breve lasso di tempo.

Se Renzi prenderà il posto di Letta subiranno un breve rinvio alcune riforme annunciate: la legge elettorale, quella che dovrebbe abolire il “bicameralismo perfetto” con la trasformazione del Senato in assemblea delle Regioni e la riscrittura del titolo quinto della Costituzione per eliminare l’aumento della spesa pubblica locale.

Tali provvedimenti dovrebbero concorrere a correggere la tendenza degli italiani a dividersi in fazioni, privilegiando gli interessi particolari rispetto al bene comune, e di ritrovare quel tanto di coesione necessaria ad affrontare la crisi economica e morale in una fase di emergenza del nostro Paese.

Il frazionismo della cultura e della società non si risolve ovviamente con la sola legge elettorale che deve essere accompagnata da una rinnovata consapevolezza dei partiti che devono riappropriarsi anche di un progetto politico per il futuro.

Il meccanismo elettorale concordato tra Renzi e Berlusconi dovrebbe contrastare i piccoli partiti che non superano una soglia di sbarramento e riproporre il “bipolarismo” se non addirittura il “bipartitismo”; resta da vedere se tale sistema privilegerà la “sinistra”, che non ha molti spazi per costruire una coalizione maggioritaria, o ancora una volta la “destra” che spera di poter vincere raccogliendo consensi nelle vaste praterie del conservatorismo illiberale.

Sicuramente la coalizione che la “destra” intende costruire è nettamente orientata in senso antieuropeo e alle elezioni di maggio per l’elezione del Parlamento di Strasburgo potrebbe mettere un cuneo nel delicato equilibrio dell’Unione Europea che, di fronte alla grave crisi economica, sta faticosamente trovando i meccanismi per farvi fronte senza penalizzare troppo i cittadini.

Il contesto è quindi molto delicato; l’Italia è ad un bivio: imboccare risolutamente la via della rinascita nell’integrazione europea oppure quella dell’isolamento in un mondo interconnesso e dell’inevitabile declino.

Invece di addentrarsi in una approfondita analisi dei nodi strutturali che stringono l’Italia come in un cappio, la politica indulge verso il “leader” ritenuto capace di venire a capo di tutte le contraddizioni e di tutte le anomalie del Paese. Sicuramente Renzi è più popolare di Letta ma ha anche meno competenza ed esperienza di quest’ultimo; potrebbe anche vincere le elezioni ma non si può pensare che sia in grado di riuscire in un contesto che ha visto la relativa impotenza dei suoi predecessori. Non si capisce infatti che cosa Matteo Renzi riuscirà a fare di diverso da quello che ha realizzato Enrico Letta perché l’energia che tutti gli riconoscono non riesce a compensare la mancanza di risorse economiche; la chiave del nostro futuro, infatti, è in mano all’Europa.

Il Partito Democratico, pur conservando alcuni tratti dei tradizionali corpi intermedi, subisce l’influenza della personalizzazione della politica che è un dato ineliminabile della situazione ma anche quello che impedisce ai partiti di sottrarsi dagli umori popolari, di formulare un programma e di svolgere una funzione di educazione alla cittadinanza.

Sarebbe far torto all’intelligenza del Sindaco di Firenze attribuendogli il proposito di supplire con la sua popolarità personale alla carenza di condizioni e di risorse per incentivare il pur necessario sviluppo, la riforma della burocrazia, il taglio della spesa pubblica per poter diminuire le tasse. Purtroppo i gruppi di interesse, le corporazioni e le “lobby” gli si metteranno contro per cui sarebbe stato auspicabile e necessario che un governo di cambiamento fosse legittimato dal voto popolare.

La crisi economica e quella morale non possono essere risolte prendendo delle scorciatoie, in una ambigua collaborazione con la “destra”, ma da una limpida vittoria del centro sinistra alle elezioni europee e a quelle politiche successive.

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