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Editoriale

IPOCRISIE

MASSIMO LODI - 28/02/2014

Ipocrisie. Renzi che dice: è il PD ad avermi chiesto di costringere Letta alle dimissioni. Semmai il contrario: Renzi che convince il PD a far mancare il sostegno a Letta. Ma Letta che fa poco, quasi nulla, per respingere l’agguato. Aveva una sola arma: combinare di meglio e di più. Non l’ha saputa (potuta) usare. Poi Renzi ci ha messo del suo: il pungolo dell’ambizione, l’urgenza d’arrivare, la frenesia da potere. Vuole rifare l’Italia, lo giudicheremo da questo: dal fare, dal rifare. Importanza delle parole: zero. Giudizio sugli atteggiamenti: inutile. Valutazione di prospettiva: incerta. Il nocciolo: trovare i soldi per farcene tirare fuori di meno. Che grande impresa, auguri.

Non glieli ha porti Letta, offesissimo. Reazione singolare. Letta che nuota nella politica da quand’è giovincello; che ne conosce barche e rotte, ciurme e corsarismi; che si è seduto con disinvoltura dove altri stavano e poi non sono stati più. Sarebbe comprensibile la meraviglia e il turbamento d’un neofita credulone, non lo è quella d’uno smagato navigante. E poi, a raccontarcela tutta: che abbraccio studiato e teatrale nella scena madre con Bersani, in Parlamento, a scopo contundente verso Renzi. Così, tanto per dimostrare urbi et orbi che i Democratici sono più divisi oggi di ieri. Però, attenzione a quanto scriveva Verga: ciascuno ha le stigmate dei suoi peccati. Ciascuno.

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Ipocrisie. Renzi, mentre si dibatte sulla fiducia al governo, manda due biglietti al collega Di Maio, grillino, uno dei vicepresidenti di Montecitorio. Gli comunica la disponibilità a discutere, sui temi che interessano tutti, anche con la parte avversaria. Oppositrice. Di minoranza. L’altro gli risponde: dialogo, mai. Renzi insiste, nuovo diniego. Finisce la storiella? È solo il prologo. Di Maio, a corrispondenza conclusa, pubblica tutto on line. Nel nome della trasparenza. Ma quale trasparenza? Lo scambio di missive era avvenuto sotto gli occhi di seicentotrenta deputati, il contenuto appariva corretto e quasi banale, che cosa bisognava rivelare se non la propria, supposta diversità? Già. Però Di Maio ci ha provato lo stesso. Alla faccia dello stile, dell’eleganza, dell’etica: roba indegna d’attenzione, come dimostrano le maniere verbali usate dai pentastellati verso i rivali. Va bene essere severi, intransigenti, rigorosi. Ma perché i nodi vengano al pettine, come ha scritto Sciascia in “Nero su nero”, ci dev’essere il pettine. Qui non c’è.

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Ipocrisie. L’ex caserma Garibaldi, ignorata per anni dall’Amministrazione comunale che dopo averla acquistata avrebbe dovuto garantirne la conservazione, è diventata d’improvviso patrimonio dell’umanità varesina anche agli occhi varesini più distratti, chiusi, ciechi. Come se, in questa stucchevole vicenda, non ci fossero delle responsabilità; come se non si fosse trascurato d’adempiere al dovere civico; come se non si fossero dimenticati i fondamentali della buona tutela municipale. Tutela delle persone e delle cose. È il caso d’allertare il ricordo agli smemorati, perché se è giusto chiamare tutti a radunare idee e forze quando l’emergenza chiama, è ingiusto mettere sullo stesso piano sensibilità che si sono mosse in passato su piani diversi. In dimensioni differenti. Dentro una dialettica dei contrari. Distinguere, ma non disgiungere, ammoniva Romagnosi nell'”Associazione dell’etica, della politica e del diritto”. Appunto.

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Ipocrisie. Questo parcheggio alla Prima Cappella che s’ha da fare, assolutamente, quasi che fosse un promesso sposo della varesinità, continua a ignorare il realismo: i costi esorbitanti, la roccia che sarà sfarinata tramite esplosioni dinamitarde mettendo a rischio la piccola chiesa dell’Immacolata, la disponibilità d’alternative (area di sosta sul terreno ove insiste l’ex pizzeria, a lato dell’incipit dell’acciottolato seicentesco). Eccetera. Si chiedono i pareri alla Sovrintendenza, ma non si sovrintende al problema con il buonsenso necessario. Rimossa ogni critica, spallucce a un’eventuale retromarcia, avanti dritti e risoluti. Intanto basta un’occhiata domenicale di sole, e l’imprevidenza dei sorveglianti del traffico provoca il tradizionale caos sacromontino. Che cosa succederà a cantiere aperto, nella curva che immette al rettilineo su cui s’affaccia l’Arco del rosario: quale ingorgo, quale inquinamento, quale pastrocchio? Bisognerebbe cambiare orientamento, parere, decisioni. Macché. Immobilismo totale. Vale, dato il luogo pellegrino, trasferire qui la testimonianza cristiana di Madeleine Delbrel negli spazi degradati della banlieue parigina: “Tu, o Signore, ci hai scelti per essere in un equilibrio strano: un equilibrio che non può stabilirsi né tenersi se non in movimento, se non in uno slancio. Un po’ come una bicicletta che non sta su senza girare, una bicicletta che resta abbandonata contro un muro finché qualcuno la inforca per farla correre veloce sulla strada”.

Siamo privi di pedalatori politici, nella terra del ciclismo sportivo.

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