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Attualità

LE RADICI DELLA CONOSCENZA

MARGHERITA GIROMINI - 07/03/2014

Ci sono educatori nati. Persone che, senza sforzo, suscitano simpatia ed empatia, vicinanza e senso di appartenenza, che sanno interessare e motivare allo studio bambini e ragazzi, sulla base di una vera relazione affettiva. Persone capaci di capire il mondo dell’infanzia e di credere in ciascun bambino, con forza e anche, in qualche caso, contro ogni evidenza. Educatori che dagli studi superiori e dalle Università imparano a organizzare il proprio pensiero pedagogico, a incanalare le intuizioni educative, a trasformare le proprie conoscenze e acquisizioni in un tesoro a cui tutti possono attingere. E che diventano persone speciali perché la teoria riesce a innestarsi su un terreno naturalmente fertile.

Così era Mario Lodi, maestro di scuola elementare nella Bassa Cremonese, una vita in mezzo ai bambini: semplice, essenziale, concreto, ottimista. Quando scompare una persona come lui, è morto domenica 2 marzo all’età di novantadue anni, si può essere certi che nessuna delle sue esperienze andrà perduta. Perché ha sempre creduto nell’altro, bambino o adulto, e ha messo al servizio della collettività le sperimentazioni attuate. Creando le premesse perché altri educatori, come lui, continuino a credere in una scuola a misura di bambino.

La sua pedagogia, condivisa da buona parte dei movimenti educativi legati alle correnti dell’attivismo pedagogico, è riuscita a rifondare la scuola italiana, animandola al punto da trasformarla in un laboratorio preso a modello da tanti maestri italiani, e non solo, dagli anni ’70 in avanti. Nella sua piccola scuola di campagna (per sperimentare non occorre insegnare in un quartiere prestigioso socialmente!), a Vho di Piadena, si scrivono storie che poi diventeranno libri “veri”, si lavora in gruppo, si studia su una pluralità di materiali, oltre il sussidiario, si stampa un giornalino, si cura un orto, si sperimentano dal vivo le scienze, si studia l’ambiente geografico esplorandolo. Ogni bambino è valorizzato, e nessuno resta indietro, perché tutti possono imparare, ognuno trova uno spazio proprio dentro una scuola aperta, interessante, stimolante: la scuola come luogo privilegiato della ricerca storico – geografico – scientifica.

L’attivismo pedagogico nasce negli Usa agli inizi del Novecento. Gli alleati americani lo “importano” da noi, con i loro esperti, durante gli anni della guerra. Pedagogisti e psicologi d’oltreoceano hanno ampiamente teorizzato la necessità di trasformare la scuola in un’esperienza viva e reale. La scuola come vita e non solo come preparazione alla vita. Ma in Italia il nostro pensiero pedagogico è ingessato: ci vorranno decenni perché si scenda dalla cattedra e si costruisca una cultura viva, insegnanti e studenti insieme. “Imparare giocando”, “imparare facendo” sono alcune delle parole d’ordine dell’attivismo.

Mario Lodi ne era convinto e per tutta una vita preferì lavorare con i bambini, insegnando e imparando allo stesso tempo, convinto che la casa si costruisce dalle fondamenta, e che per un progetto così importante si possa anche rinunciare a ricoprire incarichi più prestigiosi. Quando teneva conferenze per i genitori o lezioni di aggiornamento per gli insegnanti, in giro per l’Italia, Lodi stupiva per la chiarezza e la linearità del discorso. Qualcuno restava un po’ deluso dall’assenza di grandi rielaborazioni teoriche. Noi sappiamo invece quanto è difficile essere semplici ed “elementari”, capaci di individuare e spiegare le radici delle conoscenze; più facile raccontare elaborate teorie pedagogiche che necessitano di un vocabolario complesso. Lodi condivise passioni e metodi educativi anche con Don Lorenzo Milani che incontrò nel 1963 e con cui avviò una preziosa corrispondenza.

Sono passati alcuni decenni da quando, nel 1970, usci “Il paese sbagliato”, libro nel quale di raccontava la sua esperienza didattica innovativa in un paese ancora incapace di risollevarsi pienamente. Lodi ricevette ben diecimila lettere alle quali rispose, una per una: genitori, insegnanti, sacerdoti, operai, giornalisti, gli testimoniarono la voglia di avere per i propri figli, una scuola come la sua. Missione compiuta.

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