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Divagando

LA PASSIONE NATA SUI CAMPI DI PERIFERIA

AMBROGIO VAGHI - 20/03/2014

Nella foto di Carlo Meazza: Giancarlo Gualco festeggia con l'Ignis la vittoria nella Coppa Europa ad Anversa, contro il Real Madrid

Gli amici Max e Pier Fausto hanno magistralmente ricordato i fasti del discreto e paziente costruttore della grande Pallacanestro Varese in occasione della dolorosa scomparsa di Giancarlo Gualco. Lo hanno fatto attingendo ai bellissimi momenti della loro professione giornalistica in cui il “mago” Gualco tesseva la tela degli storici successi sportivi che hanno portato in Europa e nel mondo il nome di Varese e della Ignis.

Vorrei riandare ai tempi che hanno preceduto l’impegno di buon cestista e poi quello di apprezzatissimo manager del nostro “Fofo“. Sì, perché per noi giovani del rione varesino di Belforte, Giancarlo era il Fofo, così come affettuosamente chiamato in famiglia, probabilmente come diminutivo di Rodolfo, il suo nome di battesimo. Abitava in una piccola palazzina in Via Monte Canin. La sua era una delle tante famiglie immigrate nella nostra terra attratte dallo sviluppo economico industriale. Giunte prima per ricevere, poi per dare benessere con la loro operosità ed intelligenza.

Il padre era un apprezzato dirigente delle Cartiere Sterzi, operanti nella vicina Valle Olona. Serio, poco socievole, e sopratutto molto severo nei riguardi del figlio. Una severità ben attutita dall’amore della mamma che, come tutte le mamme, era pronta a nascondere le marachelle e soprattutto la ridotta volontà di studiare del figliolo. Niente di straordinario per un ragazzo che preferiva ogni gioco ai canoni dei primi studi di ragioneria. Un bel ragazzo, alto slanciato dai ricci capelli biondi. Uno sguardo trasognato, una espressione annoiata. Un giovanetto che per risvegliarsi pare avesse bisogno del confronto e lo sport era il suo modo di realizzarsi. Erano i mesi immediatamente successivi la fine della guerra. Passati il terrore, l’angoscia dei bombardamenti, le paure di vedere nemici tra gli stessi vicini di casa spesso diversamente schierati nei confronti della Repubblica di Salò e degli occupanti tedeschi, si respirava finalmente un’altra aria. Una vita nuova.

Per noi tutti che ci riunivamo tra i “rossi” al Circolo cooperativo di Belforte, unico punto di aggregazione giovanile nel rione, ogni occasione era buona per fare sport, fosse di partecipare ad un torneo di calcio, di pallaalcesto o di ping pong. Era un confrontarci tra noi ma soprattutto con gruppi di giovani di altri rioni, di oratori, di scuole.

A ripetizione si organizzavano corse, sia quelle di resistenza, di mezzofondo, nei boschi sui sentieri collinari, sia quella, per noi classica, di velocità. La mitica Tabache-circul, i circa cento metri piani della distanza tra il negozio del tabaccaio e l’entrata del Circolo. Direttamente sul Viale Belforte, in alcune ore privo di traffico e dal fondo stradale quasi sterrato. I lunghi anni di guerra lo avevano lasciato senza manutenzione con molte buche e pochi residui di asfalto. La nostra pista. Campione indiscusso e imbattuto il Peppin Corbetta, piccolo e scattante come una molla. Fofo aveva sempre disdegnato le corse. Era particolarmente attratto da palloni e palline, fossero per il gioco del calcio o la pallacanestro, per il tennis da campo o da tavolo, e se gli si chiedeva di partecipare ad un torneo di ping pong o ad una partita potevamo sempre contare su di lui, sul suo prezioso apporto. Ovviamente prima dovevamo ascoltare un annoiato “ma come faccio? …. ho un tema da scrivere…. devo studiare matematica…”. “Ma dai… fatti aiutare… il tema te lo potrà svolgere la Vera”. La vicina di casa Vera Bossi, una ragazza di qualche anno più avanti di lui, che faceva ragioneria nello stesso Istituto. Affare fatto, non si faticava a convincerlo, ed avere insieme il Fofo voleva dire andare sul sicuro. Vincere.

Riusciva bene in tutti gli sport. Anche nel calcio, quando si andavano ad incontrare le squadre più varie, fossero di quartiere, di scuole, di celibi o ammogliati. Belforte era a quei tempi priva di campo di calcio e pertanto si scendeva a Valle Olona dove aveva giocato, già prima della guerra, la storica ASVO. A fianco della fabbrica e nel pratone lungo il fiume c’erano gli impianti sportivi del Dopolavoro (poi ENAL) della Conciaria Cornelia. Un bel campo di calcio, omologato per le categorie inferiori e due campi di pallacanestro. Diciamo pallacanestro, non basket, dizione anglofila vietata negli anni del fascismo. Ovviamente all’aperto ed in terra battuta, assai trascurati ma che avevano conservato l’essenziale per il gioco: i tabelloni e i ferri dei canestri. È qui, su questi modesti campi che nacque la passione per la palla a spicchi di Fofo e di altri ragazzi, tanto che venne presto formata una squadretta di affezionati, pronti a confrontarsi coi più disparati (e disperati…) team in partite dove l’entusiasmo eccelleva su tutto.

Da cosa nasce cosa. Giocare con continuità all’aperto a Varese è impossibile. Si cerca un tetto e nella primavera del 1946, appena insediata la Giunta “rossa” del sindaco Luigi Cova, lo si trova addirittura nel futuro tempio del basket varesino, la palestra di Viale 25 aprile, sopra la Caserma dei Vigili del Fuoco. Una regolare delibera municipale assegna ai ragazzi di Belforte l’uso serale della palestra per due sere la settimana!

Si partiva quasi tutti insieme dal centro del rione e con la sacca dei palloni sulle spalle, a turno, si raggiungeva a piedi la palestra. Diciamo che era il nostro… pre-riscaldamento. Non siamo mai riusciti ad avere un allenatore stabile, ma abbiamo imparato i fondamentali che ci hanno permesso di progredire nella preparazione e di fare ottime partite. Avendo a disposizione una palestra, un campo di gioco, non ci era difficile avere ospiti ed affrontare le più svariate squadre di principianti e non, con risultati apprezzabili. Eravamo debolucci col play ma avanti c’erano il Fofo, io coi miei 185 centimetri e, con altrettanta stazza, il Giuseppe Pino Bernasconi (Pin Frutto, perché figlio della fruttivendola) diventato in seguito pure lui un buon giocatore della Pallacanestro Varese. Ci confrontavamo anche con discreti avversari come il futuro architetto Sergio Brusa Pasquè e quell’imprendibile trottolino del Bessi, figlio dell’edicolante di Piazza Monte Grappa. Poi il Gualco e il Bernasconi vennero notati dal presidente della Pallacanestro Varese, il signor Bettinelli, un altro belfortese con officina e residenza nel rione.

E qui incomincia un’altra storia, quella nota e splendente del nostro Fofo Giancarlo Gualco.

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