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Opinioni

LA “TASSA SUL MACINATO” È SEMPRE D’ATTUALITÀ

CESARE CHIERICATI - 17/12/2011

 

moti ottocenteschi contro la "tassa sul macinato"

C’è un passaggio nel discorso “Salva Italia” del nuovo Presidente del Consiglio Mario Monti che non ha avuto il dovuto rilievo nella pur sovrabbondante massa di commenti e reazioni sciorinati dai media nazionali. Monti ha infatti sottolineato, sia pure con i toni sommessi che lo caratterizzano, che i costi della politica pagati da tutti gli italiani sono sì quelli degli apparati pletorici, degli assurdi stipendi e delle assurde pensioni percepite da parte della “casta”, ma sono soprattutto quelli dovuti “a decisioni miranti più all’orizzonte breve delle prossime elezioni che all’orizzonte lungo dell’interesse del Paese”.

Di questo orizzonte politico limitato lungo ormai una trentina d’anni, fatto di annunci, di promesse di riforme, di spot elettorali, di demagogia allo stato puro, è figlia anche la manovra del “governo tecnico”. Nel senso che lo Stato, ereditato dai prof, non conosce sé stesso, non tiene sorvegliate le sue criticità, i suoi sprechi, non onora le priorità di investimento, non conosce o poco conosce la situazione patrimoniale dei suoi cittadini. È per quest’ultima ragione che siamo sempre, fatte ovviamente le debite proporzioni, manovra dopo manovra, alla “tassa sul macinato” dei cereali, promulgata nel 1868 da Luigi Menabrea e via via inasprita anche per volontà (1870) del mitico ministro delle Finanze della destra storica, Quintino Sella.

Anche allora c’erano i conti pubblici da risanare e si doveva far cassa. Si colpirono gli insopprimibili consumi di pane. Da molte manovre si colpiscono i carburanti la cui domanda, come appunto un tempo quella del pane, è ormai anelastica rispetto al prezzo. Aumenti, come quelli annunciati dell’IVA, che generano inflazione per il loro trasferimento sui prezzi al consumo perché la nostra economia conosce un’unica o quasi modalità di trasporto delle merci, quella su gomma. Se a partire dagli anni ’70 la politica fosse stata più lungimirante avrebbe maggiormente investito nelle infrastrutture ferroviarie limitando gli effetti perversi indotti dalla lievitazione costante dei prezzi petroliferi e dalle imposte su benzina e gasolio. Una scelta appunto da “orizzonte breve” come del resto quella dell’ICI, oggi IMU, sulla prima casa applicata a prescindere dal reddito dei proprietari e con precipitosi quanto tardivi adeguamenti delle rendite catastali. Un’amministrazione efficiente e al passo coi tempi dovrebbe essere in grado di fornire all’esecutivo gli strumenti per praticare davvero l’equità mentre la detrazione di cinquanta euro per ogni figlio a carico è solo un pannicello caldo a sua volta generatore di disparità. Quelli esposti sono solo due esempi ma sufficienti per concludere che la vera sfida da vincere è quella di una riforma profonda dell’amministrazione dello Stato (a partire dalla fiscalità) che, nei suoi stratificati intrecci corporativi e nelle sue collaudate inefficienze, divora immense risorse e genera ingiustizie. Se questo non sarà “l’orizzonte lungo” del governo tecnico, il futuro avrà inevitabilmente gli stessi colori, grigi, del presente.

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