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Politica

SENATO E AUTONOMIE LOCALI

GIUSEPPE ADAMOLI - 25/04/2014

Palazzo Madama, sede del Senato

Il bicameralismo paritario Camera-Senato era stato voluto dall’Assemblea Costituente dopo il ventennio fascista per aumentare la cifra dei “controlli” reciproci. Il cardine principale non era tanto l’efficienza e la rapidità di risposta del sistema di governo quanto l’equilibrio quasi perfetto dei poteri istituzionali (la perfezione non esiste). Il presidente del Consiglio come primus inter pares rispondeva a questa stessa logica mentre in altri Paesi il premier ha sempre goduto di maggiore autorità.

Anche il sistema elettorale proporzionale e il Parlamento di 630 deputati e 315 senatori avevano il compito di rappresentare ogni angolo del Paese e ogni orientamento politico, sia pure minimale, per impedire il sopravvento di un singolo partito o di un singolo uomo.

Col passare del tempo tutto questo è divenuto esageratamente prudente e frenante. Le istituzioni si sono fatte lente, macchinose, obsolete in rapporto alla dinamica della società e dell’economia. Sul numero dei parlamentari, di sui tanto si parla, basti dire chela Lombardiaha 80 consiglieri regionali mentre manda a Roma un esercito di quasi 150 parlamentari. Un autentico controsenso nella realtà odierna.

Si era affacciata l’ipotesi del superamento del doppione Camera-Senato già all’istituzione delle Regioni nel 1970 e questa tesi ha preso consistenza con la loro affermazione come Enti legislativi di ampio respiro. Nel 2001, all’entrata in vigore del Titolo V (rapporti Stato Regioni), molti esponenti del centrosinistra che lo avevano voluto hanno subito dichiarato che il disegno “federalista” andava rapidamente completato con il Senato delle Regioni o delle Autonomie alla stregua del modello tedesco.

Non è un caso che la riforma del Senato e del Titolo V siano fortemente intrecciati nel progetto di riforma. In sintesi la domanda è questa: se alcune competenze importanti come l’energia, le grandi infrastrutture, la promozione turistica all’estero torneranno giustamente di competenza del governo nazionale, il regionalismo che ne consegue merita, insieme al fortissimo municipalismo italiano, di trovare espressione in un Senato delle Autonomie? Parlo di regionalismo forte e non di “federalismo” perché questo termine è stato abusato, strumentalizzato, distorto dalla propaganda leghista e ha via via perso senso.

Ebbene, anche ridimensionate, le Regioni conserveranno un complesso di potestà legislative, di programmazione e di alta amministrazione di grande importanza, almeno lo spero. Insieme alle città metropolitane e ai Comuni, le Regioni hanno bisogno di una Camera specifica nella quale contribuire in modo organico “all’amministrazione” del Paese di cui sono un pezzo qualificante. Mi sento di discutere della sua composizione, non della sua filosofia.

Un Senato formato in grandissima parte dai Presidenti delle Regioni e da altri rappresentanti regionali, dai sindaci delle grandi città e da altri sindaci, sarebbe costituito da personalità tutte elette direttamente dal popolo. Avrebbero tutti i titoli non solo per votare sulle leggi relative ai problemi territoriali, ma anche sulle tematiche europee spesso connesse ai territori sub-nazionali, per votare insieme alla Camera il Presidente della Repubblica,la Cortecostituzionale, il CSM, le leggi costituzionali e magari le leggi elettorali e altro ancora escludendo la fiducia al governo e le leggi di bilancio.

Si può contestare nel merito questo disegno ma presentarlo come una svolta autoritaria è pura assurdità.

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