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Politica

IL PILASTRO CADUTO

ROBI RONZA - 09/05/2014

Un altro pilastro del vecchio sistema politico dell’Italia della “Prima Repubblica” è caduto senza suscitare un’ eco mediatica proporzionata alla sua importanza: si tratta della cosiddetta «concertazione», ovvero del potere, assegnato subito dopo la fine del fascismo ai sindacati ufficiosi, di negoziare leggi e decreti in tema di lavoro direttamente con il governo aggirando il Parlamento. Aprendo a Rimini il XVIII congresso della  Cgil, il suo segretario generale uscente, Susanna Camusso, ha attaccato il governo Renzi , che sta dicendo chiaro e tondo di non voler più continuare su questa strada. “Contrastiamo e contrasteremo”, ha affermato Camusso , “l’idea di un’autosufficienza del governo, che taglia non solo l’interlocuzione con le forze di rappresentanza (ossia i sindacati confederali. Ndr), ma ne nega il ruolo di partecipazione e di sostanziamento della democrazia”. Tanto più considerando che secondo lei ciò riguarda non solo le scelte di politica economica ma anche le riforme istituzionali, resta da domandarsi quale spazio in una filosofia del genere resti al Parlamento, organo di rappresentanza democratica di tutto il popolo, e quindi luogo deputato in primo luogo alla legittima sintesi degli interessi delle varie componenti della società nazionale.  A queste critiche il premier Renzi, essendo quella stessa sera ospite della trasmissione televisiva “Ballarò”, ha replicato dicendo che “in questi anni la disoccupazione è passata dal 7 al 13 per cento e il sindacato non se ne è accorto”. Ha poi aggiunto che se i sindacati “hanno voglia di confrontarsi noi ci siamo, ma se hanno voglia di fare polemiche le facciano, ma noi andremo avanti senza i sindacati”.

Per capire meglio i termini della questione occorre chinarsi – precisiamo – sul ruolo particolarissimo che i sindacati storici, i cosiddetti sindacati “confederali”, hanno in Italia: qualcosa che non è minimamente paragonabile a quello che hanno  altrove. Un ruolo che nel cruciale biennio 1945-46 era stato definito nel quadro di quell’ intreccio di reciproche concessioni  tra Pci e Dc grazie a cui l’Italia era stata posta al riparo dal pericolo di una drammatica instabilità se non della guerra civile. Esso consisteva nel fatto che, in caso di sue iniziative in materia di relazioni industriali, il governo (dal quale il Pci era comunque escluso) doveva  concertarle con i grandi sindacati (in cui la componente  comunista era in maggioranza). Il frutto della “concertazione” veniva poi portato in Parlamento (ove i comunisti erano in minoranza); qui però, in quanto provvedimento governativo, veniva approvato con i voti della maggioranza.  Nel rigido orizzonte della guerra fredda si era insomma attribuito ai sindacati dei lavoratori un ruolo istituzionale paradossalmente molto simile a quello delle vecchie “corporazioni”, ossia delle organizzazioni in cui il regime fascista aveva inquadrato i lavoratori.  Come a queste ultime, anche ai tre sindacati “confederali”, definiti a priori come “più rappresentativi”, era stato infine attribuito per legge il potere di stipulare contratti collettivi di lavoro validi  erga omnes, ossia validi per tutti, compresi i lavoratori che non  erano loro iscritti. Non c’è tempo qui per approfondire questo aspetto del problema, ma vale almeno la pena di accennare per inciso al fatto che la Cgil, pilastro di questo sistema, è materialmente l’erede delle vecchie corporazioni fasciste. Alla caduta del fascismo aveva occupato le loro sedi (basta guardare la facciata della sede nazionale della Cgil a Roma, o anche quella della Camera del Lavoro di Milano, per rendersene conto) e “riciclato” nelle sue fila molta parte del loro personale.

Insieme ad altri intrecci neo-corporativi fra sindacati confederali e Stato, la “concertazione”  è sopravvissuta per oltre vent’anni  alla caduta  del muro di Berlino nel 1989 e alla conseguente fine della “guerra fredda”;  ovvero ai motivi storici  che l’avevano giustificata.  Il primo governo che cominciò realmente a metterla in forse fu quello presieduto da Mario Monti dopo che Berlusconi ci aveva solo timidamente tentato. Ciò che né Berlusconi, né Monti avevano potuto fare oggi sembra stia invece riuscendo proprio al premier che è anche a capo del maggiore partito di sinistra. D’altra parte, pur senza cambiare nome, i sindacati storici hanno cambiato pelle diventando per lo più organismi di rappresentanza non di lavoratori ma di pensionati.  Dei 5 milioni e 700 mila iscritti alla CGIL,  circa 3 milioni  sono pensionati; e pensionati di settori  largamente ridimensionati se non scomparsi.  Fermo restando che anche questo mondo ha diritto a una sua rappresentanza, è tuttavia chiaro  sia la Cgil che la Cisl e la Uil – pianeti delle ormai mutate o scomparse galassie comunista, democristiana e socialista/socialdemocratica –  sono oggi meno che mai organismi di esauriente rappresentanza dell’attuale mondo del lavoro. Renzi ha perciò buoni motivi per negare loro un ruolo para-istituzionale che non hanno più motivo di ricoprire. C’è da sperare che ne derivi per i sindacati uno shock salutare: che li spinga cioè a trovare la via di una nuova adeguata rappresentanza dei legittimi interessi del mondo del lavoro in Italia così come oggi si è effettivamente configurato.

www.robironza.wordpress.com

 

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