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Cultura

UN FILOSOFO RELIGIOSO CONTROCORRENTE

LIVIO GHIRINGHELLI - 09/05/2014

Nato a Kiev nel 1874 da nobile famiglia, che lo vuole avviare alla carriera militare, Nikolai A. Berdjaev preferisce ben presto, tradendo le aspettative, lo studio dei filosofi tedeschi, specialmente di Kant e Schopenhauer. Gli ripugnano il conformismo e il tradizionalismo della classe aristocratica, non meno dell’asfissia spirituale di cui è preda la Chiesa ortodossa russa (la ritiene “un involucro infangato”). Inizialmente nutre simpatie per il socialismo marxista, in ragione della sua sete di giustizia sociale e dell’anticapitalismo, non certo per il materialismo di fondo e le venature liberticide che vi avverte. Dopo un primo arresto per le sue compromissioni politiche, nel 1901 gli viene irrogata una pena di tre anni di carcere con deportazione prima a Nord della Russia, quindi in Ucraina. In una fase di evoluzione del suo pensiero e dei suoi interessi ora si orienta verso forme di esistenzialismo religioso ispirate a Kierkegaard e Dostojevskij.

Nel corso del primo conflitto mondiale crolla l’impero zarista e hanno corso le due rivoluzioni del 1917 (a febbraio e a ottobre). Tanto meno convince Berdjaev quella dei soviet. Nel 1919 fonda a Mosca la Libera accademia di cultura spirituale e dal 1920 è docente di filosofia all’Università di Mosca. È un continuo scontro aperto col regime instaurato e le sue misure repressive. Arrestato e interrogato di persona dal famigerato esponente della polizia politica (la Čeka) Felix Dzeržinskij, anziché giocare in difesa pronuncia coraggiosamente una vera e propria requisitoria contro i princìpi su cui si fonda la nuova società e motiva a riscontro le ragioni della sua opposizione in termini religiosi, filosofici e morali. Inspiegabilmente lo rilasciano, ma nel 1922 ne è decretata l’espulsione dalla Russia senza più possibilità di ritorno.

 Si reca a Berlino, quindi nel 1925 a Parigi. Gli espatriati di parte bianca non gli ispirano alcuna fiducia, perché coscienze incallite dal peccato. È confortato dal calore della famiglia (ha sposato la moglie Lidia nel 1904) e dalla comprensione e scambio di idee con amici e intellettuali quali Jacques Maritain, Gabriel Marcel ed Emmanuel Mounier. Ha pubblicato via via nel 1916 “Filosofia della libertà”, nel 1923 “Il senso della storia” e “La concezione del mondo di Dostojevskij”, nel 1924 “Un nuovo Medio Evo”. Seguiranno “L’uomo e la macchina “ nel 1933, “Il destino dell’uomo nel mondo contemporaneo” e “Cristianesimo e realtà sociale nel 1934, “Il problema del comunismo” (1937),” Le fonti e lo spirito del comunismo russo” (1945), “Saggio di una metafisica escatologica” (1946). Chiuderanno “L’idea russa” (1946) e “Schiavitù e libertà dell’uomo” (1947).

Nikolai Berdjaev ritiene necessario il recupero dei valori spirituali del Medio Evo, mentre rifiuta la civiltà scaturita dal Rinascimento. Trova assurda la pretesa prometeica dell’uomo di conquistarsi la sua autonomia, emancipandosi da Dio. La completa naturalizzazione dell’uomo si è accompagnata alla secolarizzazione di ogni aspetto della realtà, sinché si è arrivati con il superuomo di Nietzsche a sostituire il Dio perduto e a un estremo individualismo e con Marx a identificare in toto la natura umana con la sola sfera sociale, in extremis all’onnipotenza e all’idolatria della tecnica, che si ritorce contro l’uomo reificandolo.

Figura centrale della sua concezione teologica ed escatologica della storia è il Cristo. Umanizzandosi Dio in lui, ha avviato il processo di divinizzazione dell’uomo. L’uomo diviene così strumento di trasfigurazione e di riscatto dell’intera sfera oggettiva ed è chiamato a collaborare alla creazione dell’ottavo giorno. L’imperativo etico cogente è di metter fine al vecchio mondo per instaurarne uno nuovo, che avrà il compimento ultimo al di là della storia: questa è il luogo in cui il dramma cosmico dell’esistenza si avvia alla trascendenza finale in una condizione divina perfetta.

Purtroppo per Berdjaev il Cristianesimo sinora ha fallito il proprio compito storico, mentre vanno ridestate le speranze messianiche del popolo russo, che vedono prossimo e concreto l’avvento del Regno dei cieli. Il male demoniaco del comunismo ha estinto la libertà, i valori della persona, la religione, in nome della tecnica e della materia. Alle tare dell’autocrazia zarista per l’altro verso si sono aggiunte le iniquità del capitalismo. Bisogna riportare il centro di gravità dalla vita esteriore a quella interiore, rivendicare in termini esistenziali la concreta esperienza spirituale e individuale, rifarsi a Dostojevskij per comprendere che la libertà, che si crede raggiunta, può risolversi esclusivamente in arbitrio, oppure può condurre a Dio. Soprattutto vanno distinte la libertà come grazia (libertas maior) e libertà come scelta (libertas minor). Sullo sfondo campeggia la “Leggenda del Grande Inquisitore”, inserita nei Fratelli Karamazov: nelle parole di questi, seguace del demonio, rivolte a Cristo ritornato in terra, l’incubo: l’uomo adora chi lo domina, togliendogli il peso della libertà.

Possono sembrare tutte queste osservazioni anacronistiche e ispirate da un pessimismo radicale, eppure sono tutt’altro che inattuali.

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