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Cultura

LA SCATOLA DI CARAMELLE

PAOLA VIOTTO - 09/05/2014

C’è anche una scatola di latta con l’immagine della Madonna tra gli oggetti esposti nella mostra-evento milanese di questa primavera. “Bernardino Luini e i suoi figli”, allestita a Palazzo Reale fino al 13 luglio, affronta infatti il pittore cinquecentesco sotto ogni possibile punto di vista. Bernardino, i figli, la bottega, la formazione sperimentale, i compagni di strada, i rapporti con il territorio, la fortuna critica. E la scatola di caramelle serve a ricordare quanto le sue opere fossero popolari tra Ottocento e Novecento, fino ad essere riprodotte non solo sulle pagine dei libri di arte, ma anche in oggetti quotidiani.

Ma circa un secolo fa il cambiamento dei gusti critici portò ad un rapido declino della sua fama.

Relegato nel mondo nebuloso dei pittori lombardi dopo Leonardo, venne considerato poco più di un illustratore prolifico o di un produttore seriale di gradevoli quadri devozionali. La mostra di Palazzo Reale, curata da Giovanni Agosti e da Jacopo Stoppa sgombra il campo dai luoghi comuni. Attraverso un percorso puntigliosamente argomentato con circa duecento opere, e costruito con la forte valenza didattica di un’esposizione nata nell’ambito dell’Università degli Studi di Milano, ne ricostruisce la sfaccettata personalità. Partendo dalla sua formazione, tra la tradizione lombarda, l’inevitabile confronto con Leonardo, l’influsso veneto e un misterioso viaggio a Roma, ci mostra l’evoluzione di un artista che dopo il 1524 divenne il protagonista assoluto della scena milanese. Grazie alla geniale capacità di mettere a punto un linguaggio figurativo insieme colto e popolare, le sue opere per almeno un secolo costituirono il metro di riferimento per gli artisti di un’intera regione.

Se la sua attività coprì soltanto tre decenni – morì infatti nel 1532, quando aveva circa cinquant’anni – la sua influenza fu molto più vasta. La quantità e la qualità dei cicli affrescati in chiese e dimore nobiliari di Milano e del contado, dalla Certosa di Pavia fino a Lugano, diffuse in tutto il territorio lombardo uno stile ben riconoscibile, fatto di pacato realismo e di contenuta espressività. Toccò poi al figlio Aurelio riprendere il discorso del padre e metterlo a confronto con le nuove istanze che si affacciavano a metà del secolo, in particolare con l’apporto rivoluzionario di Tiziano.

La mostra però ci può far vedere solo una parte limitata dell’attività di Bernardino, essenzialmente quella legata alla pittura su tavola, mentre egli fu in primo luogo un grande affrescatore. Sono evidentemente presenti alcuni dei suoi affreschi che furono staccati nel secolo scorso, principalmente dalla villa della Pelucca e dal convento di Santa Marta a Milano. Ma il grosso della sua produzione affrescata resta ovviamente e fortunatamente in loco. Affianca così la mostra un agile volumetto di percorsi, con il suggerimento di una serie di visite sul territorio.

A questo si aggancia un’appendice varesina della mostra. Luini infatti ha molto a che fare con la nostra zona. La sua famiglia, gli Scapi o Scappi, era originaria di Dumenza, nel luinese, da dove emigrò a Milano per condurvi un commercio di frutta e verdura, a cui lo stesso pittore partecipò negli anni giovanili. Ma al di là di questa nota biografica, egli fu attivo nel Santuario di Saronno e a Santa Maria degli Angeli di Lugano, mentre il figlio Aurelio lavorò tra l’altro nel Monastero di Cairate. A queste opere, e in generale alla cultura rinascimentale del Varesotto, è dedicata una serie di iniziative dei Musei Civici di Masnago, con conferenze, visite e incontri, anche in collaborazione con il Museo Baroffio.

 

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