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Editoriale

DECLINO

GIANFRANCO FABI - 16/05/2014

Sono passati due secoli da quando Marie-Henri Beyle, meglio noto come Stendhal, scriveva come esperienza di uno dei suoi viaggi a Varese: “Al tramonto del sole si vedevano sette laghi. Credetemi, si può percorrere tutta la Francia e la Germania, ma non si potranno mai cogliere simili sensazioni”.

Visto da lontano il paesaggio di Varese e dintorni è rimasto quello di una volta. Soprattutto in questi limpidi giorni di primavera si possono apprezzare panorami ineguagliabili che in alcuni casi la sapiente mano dell’uomo ha saputo valorizzare: pensiamo al balcone del Sacro Monte sopra la statua del Mosè o alla recente accurata e sobria sistemazione del belvedere di Azzate da cui si gode una magnifica vista del lago, del Campo dei Fiori e della corona alpina con il Monte Rosa.

Vista da vicino la realtà della città e dei suoi immediati dintorni non appare, purtroppo, altrettanto esaltante. Già arrivando a Varese si è accolti da molti elementi di disordine e di decadenza. Alla Folla di Malnate spiccano i ruderi delle vecchie fabbriche, abbandonate da decenni, e poi arrivando in città quel castello di Belforte che in qualunque altra località europea sarebbe stato protetto e valorizzato.

Al Ponte di Vedano gli imponenti lavori per il nuovo tratto della tangenziale hanno trasformato un pezzo di valle in un intreccio di cemento: un biglietto da visita non certo bello non solo per Varese, ma anche per Castiglione Olona, che ama definirsi “un’isola di Toscana in Lombardia”.

Se si sceglie l’autostrada si sta molto spesso fermi in coda con tutto il tempo per ammirare non solo il panorama, ma anche grandi opere incompiute, come il raddoppio inutilizzato del ponte sulla provinciale per Gazzada, e ancora vecchi stabilimenti abbandonati.

Se si arriva dalla Valceresio si possono ammirare i cantieri della ferrovia che dovrebbe unire Varese a Mendrisio passando per Arcisate e Stabio, cantieri che dopo aver massacrato mezza valle sono ora da mesi praticamente fermi perché chi deve decidere non decide (e si tratta solo di una variante sulla destinazione delle terre di scavo). E intanto dall’altra parte del confine gli svizzeri hanno praticamente completato tutte le loro opere così come previsto da un accordo che l’Italia non sta per nulla rispettando.

E poi quando si entra in città si è accolti da quello che è ormai un monumento allo spreco e all’incapacità politica: la caserma Garibaldi. Anche i militari, come molte industrie, hanno chiuso i battenti, ma nella maggior parte dei casi gli stabilimenti, così come la caserma, sono rimasti in libera decadenza anche senza avere alcun valore di archeologia industriale (o militare). Vi è da dire che quando si è intervenuti con ruspe ed escavatori non si sono ottenuti grandi risultati: basti pensare agli anonimi fabbricati commerciali che hanno preso il posto negli anni ’70 dello stabilimento del Calzaturificio di Varese di fronte alla stazione Nord.

Si ha l’impressione che la successione di scelte erratiche abbia portato alla realizzazione di una città disordinata. Ne è un esempio il nuovo scatolone di cemento dell’Ospedale Del Ponte che sembra unire due logiche opposte: un’encomiabile e validissima iniziativa per realizzare un ospedale dei bambini e una pessima scelta logistica e urbanistica soffocando ancora di più un’area già ora molto intasata.

Certo, Varese e il suo Comune hanno saputo anche compiere scelte positive e lungimiranti, per esempio destinando ad uso pubblico alcuni dei parchi che la grande borghesia aveva creato nei secoli scorsi. Ma anche qui qualche passo in più andrebbe compiuto. Le sale di villa Mylius attendono di ospitare qualche valida iniziativa dopo l’insabbiamento del progetto dell’Accademia di cucina. E altri spazi potrebbero essere inseriti nei percorsi della cultura cittadina così come fatto sapientemente con il castello di Masnago: proprio a Masnago c’è villa Baragiola con il suo parco e l’interessante grande chalet in legno sulla sommità della collina che potrebbe diventare meta di un accattivante percorso didattico-culturale.

Se i soldi sono pochi andrebbero spesi bene. Sul parcheggio alla Prima cappella si sono già dette tante cose in queste pagine. Aggiungo solo che oltre che alle automobili bisognerebbe pensare anche alle biciclette: certo non alla Prima Cappella, ma in tutta la città dato che l’unica pista ciclabile (bellissima!) è in riva al lago e non ha nulla a che fare con la mobilità urbana.

 

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