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Cultura

IL CUOCO DEI RE

EMILIA MALPAGA - 24/12/2011

 

S’avvicina il Natale e, immancabili, si consumano i riti delle festività. Albero, presepe e regali non sono certo meno importanti del cenone o del pranzo natalizio. In Italia siamo fatti così e alla (buona) tavola non solo non resistiamo, ma nemmeno deroghiamo in alcun caso. In TV, in edicola e in libreria la cucina ormai da qualche anno la fa da padrone e diventa motivo di ispirazione. Ancora qualche ora e supermercati, gastronomie e negozi di alimentari faranno il pienone. Poi, tutti in cucina, magari a seguire qualche ricetta particolare, griffata dagli chef più prestigiosi. E chissà che qualcuno non intenda riscoprire i piatti di Nino Bergese?

Ai più questo nome dice poco o nulla. I gourmet più esperti lo ricordano per le due stelle (il massimo) che la guida Michelin gli assegnò nel 1969, quando era al timone di “La Santa”, il ristorante genovese che aveva aperto nel dopoguerra. Gli appassionati rammentano probabilmente “Mangiare da re”, il manuale che gli fu commissionato e sollecitato direttamente da Giangiacomo Feltrinelli. Pochi però sanno che i suoi primi successi culinari avvennero a Pallanza, al cospetto delle teste coronate e della nobiltà sabauda.

Giacomo Bergese, detto Nino, nacque a Saluzzo nel 1904 in una famiglia modesta. Adolescente, prese servizio come aiuto giardiniere nella tenuta del conte Bonvicino. Talento e intraprendenza lo spinsero in cucina, a imparare da Giovanni Bastone, futuro chef di casa Agnelli. Tempo tre anni e diventò aiuto cuoco per il conte Costa Carrù della Trinità, ai cui banchetti parteciparono, tra gli altri, i reali d’Italia, re Fuad d’Egitto, il duca d’Aosta e il duca di Genova. Il primo incarico come capo cuoco arrivò con i Wild, una ricca famiglia di imprenditori nel campo del cotone. Quindi la svolta con l’assunzione a Pallanza. Il conte Luigi Arborio Mella di Sant’Elia, già Gran maestro cerimoniere nella corte di Vittorio Emanuele III e deputato, lo volle per Villa Crocetta, sua residenza estiva destinata da lì a pochi anni a diventare Villa Taranto.

Il talento di Bergese è applaudito il 15 settembre del 1926, quando l’ospite d’onore è Umberto di Savoia. Il futuro re celebra il suo ventiduesimo compleanno e per lui il cuoco inventa la torta fiorentina. Un piatto delizioso, con fondo di pastafrolla, condimento di crema pasticciera, fondant al cioccolato e decorazione con ghiaccia reale a base d’albume spolverata da zucchero a velo. Il principe gradisce al punto che ne chiede il bis per tre giorni di fila. Non solo: all’inventore va un premio di cinquecento lire e un paio di gemelli d’argento con stemma reale.

Negli ultimi anni del Regno d’Italia il cuoco saluzzese continua a sfornare prelibatezze per la nobiltà della Penisola. La guerra cancella definitivamente titoli e casati e Bergese reinizia da Genova. L’aver cucinato per i re di prima e per quelli che potrebbero esserlo (Costantino di Grecia e Michele di Romania frequentavano “La Santa” insieme a scrittori, intellettuali e attori) dettano il titolo al ricettario edito da Feltrinelli, che ne rappresenta una sorta di eredità.

Bergese morirà a Savona nel 1977, dopo il locale istituto alberghiero ne prenderà il nome. Di lui restano memorabili ricette e quella nomea di “cuoco dei re, re dei cuochi” forgiata nell’apprendistato a villa Crocetta di Pallanza.

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