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Attualità

BUON ANNO, VARESE. QUATTROCENTO VOLTE

GIANFRANCO FABI - 24/12/2011

 

Buon anno Varese. Buon 2012. Un anno in cui ci sarà un giorno in più per sorridere, per camminare, per incontrare vecchi amici e giovani parenti. Ma cercando di usare tutti i 366 giorni per costruire tanti piccoli passi per una società più aperta, più responsabile, con maggiore voglia di costruire.

Varese è sempre stata una realtà “industriosa”, un luogo fertile di iniziative imprenditoriali, ma anche un terreno di iniziative ambiziose. Basti pensare ai monumenti religiosi come il Viale delle Cappelle o la Basilica di San Vittore, realizzati agli inizi del Seicento, o ai grandi alberghi in stile Liberty del primo Novecento, alla prima autostrada del mondo tra Varese e Milano negli anni Venti del secolo scorso.

“C’è un elemento che si ritrova costantemente nella Varese dei tempi antichi e in quella dei tempi recenti: è l’operosità della sua gente.” Lo scriveva nel 1998 l’allora presidente dell’Associazione industriali, Paolo Lamberti, in occasione della ristampa anastatica della “Cronaca di Varese” di Gio. Antonio Adamollo e Luigi Grossi, opera edita per la prima volta nel 1931 dalla Tipografia arcivescovile dell’Addolorata.

Ebbene proprio questo diario di un varesino del Seicento si trovano mille notizie che spaziano dal tempo agli incontri, dalle visite ai prezzi del mercato, dall’abbondanza alla scarsità de raccolti. Apriamo allora le Cronache all’anno 1612. Racconta l’Adamollo: “Allì 23 maggio di d. anno 1612 il card. Federico Borromeo Arcivescovo è venuto a Varese in visita e gli si è fatto onore grande, essendo andate tutte le scuola di Varese ad incontrarlo co’ suoi abiti e quelli della Dottrina Cristiana con aver fatto una porta a Pozzaghetto di molta vista dipinta, incontrato da molti a cavallo, con aver coperto tutta la strada, sparato molti mortari alla piazza del Pretorio, con campane di festa, ed alloggiato in casa del Sig. Prevosto di Varese, è entrato in Pontificato essendosi vestito all’Annunciata e ricevuto sotto Baldacchino portato dai Sig.ri Reg.ti della Comunità e si è fermato a Varese sino alli 30 di d. mese, e li gentiluomini di Varese gli hanno fatto corte ogni giorno”. Un grande evento. E la puntuale cronaca prosegue: “L’acqua ha inondato le campagne e vigne di Velate, il fosso ha sormontato li ponti ed il torrente appellato Vellone ha fatto danno verso Casciago.”

Due affreschi della Varese di quattrocento anni fa. Di Porta Pozzaghetto, che era al termine di via Volta, è rimasta solo una targa collocata nel 1994 dall’amministrazione comunale insieme ad altre cinque per ricordare le sei porte che chiudevano la città. E così di vigne a Velate non ne è rimasta praticamente nessuna, cancellate dalle malattie e ricordate solo dal toponimo Avigno dato al territorio a sud dell’allora comune dove vi erano i più ampi vigneti.

Ma l’ampiezza con cui l’Adamollo parla della vista del Cardinale Federico, anche se nella cronaca mancano i particolari, va sicuramente legata al progredire delle opere religiose con in primo piano la Basilica di San Vittore, il campanile e il viale delle Cappelle che prendono forma propri in quegli anni, soprattutto per opera di Giuseppe Bernascone. La visita del cardinale al “Sacri Montis Calvarij” nel 1612 è peraltro citata in un documento conservato nell’Archivio della Diocesi di Milano in cui si riportano le istruzioni “pro sacellis in via ad sacram aedes”. C’è in queste indicazioni la volontà di realizzare un catechismo figurato, un esempio della sensibilità comune e dell’attenzione verso la storia sacra, un aiuto alla preghiera e alla contemplazione.

Federico Borromeo è proprio il cardinale della conversione dell’Innominato nei Promessi sposi di Alessandro Manzoni, ambientato all’inizio del Seicento, e così descritto nel XXII capitolo del romanzo: “In Federigo arcivescovo apparve uno studio singolare e continuo di non prender per sé, delle ricchezze, del tempo, delle cure, di tutto se stesso in somma, se non quanto fosse strettamente necessario. (…). Del suo poi era così scarso e sottile misuratore a se stesso, che badava di non ismettere un vestito, prima che fosse logoro affatto: unendo però, come fu notato da scrittori contemporanei, al genio della semplicità quello d’una squisita pulizia: due abitudini notabili infatti, in quell’età sudicia e sfarzosa. Similmente, affinché nulla si disperdesse degli avanzi della sua mensa frugale, gli assegnò a un ospizio di poveri; e uno di questi, per suo ordine, entrava ogni giorno nella sala del pranzo a raccoglier ciò che fosse rimasto”.

Una grande umiltà unita ad una forte passione religiosa, una profonda cultura (fondò la Biblioteca Ambrosiana) e una grande umanità. Senza paura della contraddizione di essere un uomo ricco in una Chiesa povera, di essere testimone di umiltà, ma nello stesso tempo fautore di quella “politica monumentale” che ha dato corpo ad opere di grande visibilità come il viale delle Cappelle.

Sono passati quattrocento anni. Il Sacro Monte resta il segno visibile di una fede antica, continuamente riscoperta.

Buon anno, Varese. Solo dalle solide tradizioni può nascere un futuro di rinnovata operosità.

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