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Spettacoli

CANZONETTE D’ITALIA

MANIGLIO BOTTI - 26/06/2014

Delle sensazioni che scaturiscono dall’ascolto dell’inno nazionale – l’inno di Mameli – s’è probabilmente già detto: sia per quanto riguarda i ricordi personali (il Tricolore che ogni mattina saliva piano sul pennone collocato al centro della piazza d’armi di Vipiteno – Sterzing), sia per la vista, molto meno impegnativa, dei nostri calciatori e dei tifosi della Nazionale che lo cantano a squarciagola prima delle partite. Sono emozioni che, in parte, ci rimandano anche all’infanzia e alle scuole elementari. L’inno nazionale, allora, veniva insegnato nelle classi dai maestri e dalle maestre: “Fratelli d’Italia…”. Non si sa se ciò accade anche oggi, forse non più. L’amor di Patria, quella conla Pmaiuscola, è cosa intima ormai, e magari anche un po’ riduttiva. Siamo in Europa, in fondo.

Ma non c’è solo l’inno di Mameli a tenere vivo l’interesse e, talvolta, l’amore per l’italica nazione – dalle Alpi al Lilibeo, come scriveva sempre nei suoi editoriali un vecchio direttore della Prealpina –: ci sono altre canzoni, non inni ma canzonette, più o meno impegnate, più o meno retoriche che vogliamo ricordare con una sequenza non cronologica. E molto probabilmente ne dimenticheremo qualcuna.

 Fatto singolare è che la stragrande maggioranza di queste citazioni proviene da brani presentati nell’ultimo trentennio (e passa) al Festival di Sanremo, una dimostrazione concreta di come in effetti questa manifestazione rappresenti la rassegna “della canzone italiana”. A cominciare da quanto cantò Pierangelo Bertoli – siamo nel 1992 – nella sua “Italia d’oro”. Non era proprio un testo elogiativo, perché dettava critiche (“E torneranno a parlarci di lacrime dei risultati della povertà / delle tangenti e dei boss tutti liberi / di un’altra bomba scoppiata in città / Spero soltanto di stare tra gli uomini / che l’ignoranza non la spunterà…); dettava critiche Pierangelo Bertoli ma faceva anche riflessioni o amare constatazioni: “Italia d’oro frutto del lavoro cinta dall’alloro / trovati una scusa tu se lo puoi / Italia nera sotto la bandiera vecchia vivandiera te ne sbatti di noi…”.

Invece non appartiene al Festival, ma – l’affermiamo con certezza – è una delle più belle canzoni in assoluto dedicate al nostro Paese “Viva l’Italia”, di Francesco De Gregori. Ne riportiamo alcuni versi. Il brano andrebbe ascoltato e riascoltato: “Viva l’Italia, l’Italia liberata, / l’Italia del valzer, l’Italia del caffè. / L’Italia derubata e colpita al cuore, / viva l’Italia, l’Italia che non muore… / Viva l’Italia, l’Italia che lavora, / l’Italia che si dispera, l’Italia che si innamora / l’Italia metà dovere e metà fortuna, / viva l’Italia…”.

Di nuovo al Festival di Sanremo del 1988 e a una canzone grondante retorica se si vuole, ma per altri aspetti commovente che presentò Mino Reitano. Così cantava il “ragazzo di Fiumara”: “Poi mi prende l’emozione / Per Firenze che sta là / Per Venezia che si muove / E l’eterna Roma è qua / Italia, Italia / Di terra bella e uguale non ce n’è / Italia, Italia / Questa canzone io la canto a te / Un giardino dentro al mare / Contadina come me / Ride e canta ballerina / Forse il sole è nato qui / Quest’Italia che profuma / di oleandri e di perché…”.

E pure un po’ retorica, e anche piena di immagini stereotipate con accostamenti piuttosto kitsch,  fu “L’Italiano”, di Toto Cutugno, portata al Festival di Sanremo del 1983. Alla luce del senno di poi, e del successo in ogni modo conseguito, Cutugno quell’anno avrebbe dovuto vincere, mentre invece la sua canzone risultò quinta a vantaggio di “Sarà quel che sarà”, oggi molto meno nota, e infine prima in classifica, presentata da Tiziana Rivale. Ed ecco il famoso italiano di Cutugno: “Lasciatemi cantare / con la chitarra in mano / lasciatemi cantare… / sono un italiano! / Buongiorno Italia gli spaghetti al dente / un partigiano come presidente (ndr, da lì a paio d’anni Sandro Pertini avrebbe concluso il suo mandato al Quirinale), / con l’autoradio sempre nella mano destra / un canarino sopra la finestra / Buongiorno  Italia con i tuoi artisti, / con troppa America sui manifesti, / con le canzoni fatte con amore e cuore, / con più donne sempre meno suore… /.

Una delle ultime canzoni – ma non certo l’ultima – dedicate al nostro amato (si fa per dire) Paese è “Buonanotte all’Italia” (2007), scritta da un grande cantautore, Luciano Ligabue, forse con qualche richiamo all’accennato brano del collega De Gregori. Canta Ligabue nella seconda strofa: “Buonanotte all’Italia che ci ha il suo bel da fare / tutti i libri di storia non la fanno dormire / sdraiata sul mondo con un cielo privato / fra Sampietri e Madonne / fra progresso e peccato / fra un domani che arriva ma che sembra in apnea / ed i segni di ieri non vanno più via…”.

Torniamo al Festival di Sanremo – l’anno è il 1996 – con Elio e le Storie tese. La canzone – “La terra dei cachi – arrivò seconda: davvero rischiò di vincere, se… Ron e Tosca non avessero potuto dire la loro con la più politicamente corretta “Vorrei incontrarti fra cent’anni”.

 Molto chiaro il pezzo di Elio e le Storie tese: “Parcheggi abusivi, applausi abusivi, / Villette abusive, abusi sessuali abusivi; / Tanta voglia di ricominciare abusiva / Appalti truccati, trapianti truccati, / Motorini truccati che scippano donne truccate / …Italia sì, Italia no, Italia gnamme, se famo dù spaghi. / Italia sob, Italia prot, la terra dei cachi. / Una pizza in compagnia, una pizza da solo; / Un totale di due pizze e l’Italia è questa qua…”. Eh sì, quest’Italia avrebbe potuto (o dovuto?) vincere, e non soltanto il Festival.

 

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