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Storia

DRAMMA NELLA VARESE DEL ‘700

FERNANDO COVA - 04/07/2014

La chiesa dell’ex monastero di san Martino

Il mensile Mercure de France del dicembre 1750, edito a Parigi, pubblicava una “Histoire Tragique, De Ludovisio Carantani, Milanois, et de ses deux filles”. Nello scritto dopo un preambolo “illuminato” per i tempi si diceva: “Non vi è alcuna persona giudiziosa che non condanni la tirannia che dei genitori irragionevoli esercitano sovente sui loro figli, per costringerli, malgrado loro, ad abbracciare uno stato per il quale non hanno nessuna vocazione”. Per una quindicina di pagine ci narra di una avventura capitata in quel di Varese e della quale l’anonimo autore dichiara “essere verissima”.

Ludovisio Carantani, probabilmente appartenente alla famosa famiglia varesina, aveva avuto due figlie da una donna che gli aveva portato una considerevole dote. Il padre aveva attenzioni unicamente per la primogenita, Vittoria, mentre a Olimpia andavano quelle della madre che presto morì. Da questo momento iniziarono maltrattamenti da parte del padre e della sorella. Essendo Vittoria molto bella, il padre decise di maritarla, i pretendenti non mancavano di certo e tra essi il genitore avrebbe potuto scegliere chi meglio avrebbe contribuito alla felicità della figlia prediletta.

Per riuscire meglio nel suo intento Olimpia fu messa in convento e il padre fece correre la voce che era risoluta ad abbracciare la vita religiosa, questa rinuncia faceva di Vittoria uno dei più ricchi partiti del Milanese, aumentando di conseguenza il numero di pretendenti.

Sia il padre sia i parenti più devoti convinsero la giovane e inesperta fanciulla a indossare l’abito di novizia, ma il giorno della cerimonia ella incrociò lo sguardo di un giovane cavaliere che fece una notevole impressione nel suo cuore.

Dopo questo fugace incontro Olimpia si ribellò alla sorte da altri determinata e affermò che voleva avere una vita normale, non in convento. Le religiose e i parenti moltiplicarono i loro sforzi per convincerla alla scelta religiosa definitiva, ma invano.

Ludovisio ricorse anche alle minacce anche perché il presunto sposo in questa attesa si stava raffreddando. Arrivò a minacciarla di morte, ma la fanciulla tranquillamente non si scompose ribadendo che mai avrebbe accettato di abbracciare la vita religiosa. Carantani decise che matrimonio e professione religiosa si sarebbero svolti nel medesimo giorno e segretamente preparò le cerimonie.

In un ultimo incontro la fanciulla si rivolse al padre: “Pensateci bene, sappiate, in nome di Dio, mio caro padre, finché siete ancora in tempo. Tenete in mano il filo dei miei giorni, se continuate a persistere che mi sacrifichi per il bene di mia sorella voi proverete in maniera terribile tutto l’orrore del sacrificio a cui mi forzate… Attendo domani la vostra ultima risposta. Se non mi sarà favorevole tremate per le sorti funeste che deriveranno”. La risposta non arrivò mai.

L’indomani i parenti invitati a questa doppia cerimonia si erano radunati nella chiesa del monastero di Sanmartino (sic) di Varese. Olimpia, vestita con tutti gli abiti mondani che le sarebbero stati tolti al momento della presentazione all’altare, chiese alle religiose il permesso di recarsi nella sua cella per un momento di meditazione e raccoglimento. Anziché recarvisi ove detto la fanciulla raggiunse il granaio dove, dopo aver chiesto perdono a Dio, si impiccò a una trave con un cordone preso ad una religiosa.

Dopo circa un’ora, non vedendola arrivare e serpeggiando l’impazienza tra i parenti, le religiose si recarono nella cella che trovarono vuota. Finalmente una monaca scoprì il corpo.

Il terrore si diffuse tra le religiose e tra gli invitati. Solo al padre fu permesso di vedere il cadavere. Questi riconobbe, troppo tardi, che la sua inflessibilità aveva condotto a questo; si precipitò fuori dal convento e, montato a cavallo, si diresse verso una sua casa di campagna.

Dopo sei miglia fu disarcionato ma un piede rimase impigliato nelle staffe mentre il cavallo correva all’impazzata. Carantani morì dolorosamente. Il suo corpo smembrato fu ritrovato solo quando il cavallo ritornò a casa, trascinandolo.

Vittoria nello stesso giorno vide la morte del padre, della sorella e l’allontanarsi del promesso sposo che si rifiutò di entrare in una famiglia disonorata. Due giorni dopo morì.

La narrazione finisce ammonendo “i padri e le madri sulla condotta che devono tenere con i loro figli”. Nel mese successivo, malgrado la asserita veridicità del fatto raccontato, sullo stesso mensile compariva questa precisazione: “Si é letto nel Mercure di dicembre una Historia Tragica di Ludovisio Carantani. Questo nome che noi crediamo inventato, si trova essere quello di un uomo rispettabile che é ancora in vita, che non ha, né potrebbe avere alcune delle avventure raccontate nel piccolo Romanzo sopra citato”.

Lo scritto fu ripubblicato, in inglese, nel mensile “The Lady’s Magazine” a Londra nel dicembre 1779. Che fosse storia o invenzione, l’autore conosceva comunque la nostra città.

 

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