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Ambiente

IL NOSTRO PIANTONE

DANIELE ZANZI - 12/09/2014

Non che non mi fosse chiaro anche prima, ma le due recenti giornate passate ai piedi del nostro amato Piantone di Via Veratti per coordinare gli studi e le cure da prestare all’illustre paziente sofferente mi hanno confermato che i varesini vogliono bene per davvero a questa pianta.

Un affetto che va al di là del semplice rispetto dovuto a un siffatto campione della natura, ma che ha radici ben più profonde: la presenza del Piantone – per l’esattezza scientifica un Cedrus libani subspecie atlantica – è entrata nella memoria collettiva di un’intera cittadinanza. L’abbiamo sempre visto lì, possente e tozzo, abbarbicato – non si sa bene come faccia – a un rialzo artificiale. È addirittura entrato nella toponomastica dei varesini: non si è usi dire “Ci vediamo in centro o in Via Veratti”, bensì “ Ci vediamo al Piantone”.

Lo ammetto: ho avuto difficoltà a lavorare in quei giorni; perché più che analizzare, dare istruzioni, coordinare mi è toccato intrattenere pubbliche relazioni con i tantissimi varesini che passavano di lì e chiedevano con apprensione notizie sullo stato di salute dell’illustre paziente. E la curiosità non finiva certo lì ai piedi dell’albero: iniziava in ore antelucane dal giornalaio che voleva essere relazionato in anteprima; continuava con i numerosi clienti che visitavo o con i semplici passanti o conoscenti che mi fermavano in città, al bar o al Franco Ossola durante la partita del Varese. Tutti a chiedere : “Ma ce la farà? E come mai tutto quel secco in quota e quel colore anomalo della chioma?”. Insomma i varesini hanno davvero a cuore il loro Piantone. E come non potrebbero? Un vero campione, messo lì circa nel 1870, probabilmente da Giulio Adamoli, borghese varesino benestante, patriota garibaldino e senatore del Regno.

Di quei tempi sicuramente chi ne aveva disponibilità economica, e l’Adamoli era tra questi, non si accontentava di mettere a dimora esili piantine, ma desiderava alberi possibilmente “esotici”, di dimensioni ragguardevoli, quelli che oggi i tecnici chiamano con un termine orrendo “a pronto effetto”; verosimilmente il Piantone sfiora i 180-190 anni di vita! Un patriarca, dunque, con dimensioni ragguardevoli: una circonferenza del tronco di sei metri e passa e un diametro di oltre due metri con un’altezza della chioma di 24,30 metri che si sporge sfacciata su tutta l’ampiezza di Via Veratti.

Seguo la pianta da sempre; la osservo con amore come fanno tutti i varesini, ma anche con l’occhio critico del tecnico. Non mi sfuggono le sfumature, i cambiamenti e i segnali che l’albero può e riesce dare a un occhio esperto e professionale. Operativamente me ne prendo cura da un decennio a titolo gratuito. Ho “adottato” il Piantone temendo guai e sciagure per il nostro campione quando il Comune ventilò l’idea di affidare le potature e le sue cure a un’asta al massimo ribasso con tutti rischi che una tale modalità di gara poteva comportare per l’integrità dell’albero. “Fermi tutti!” dissi. “Piuttosto che esista l’eventualità che l’albero sia massacrato da “economiche” potature al ribasso, me ne faccio carico io gratuitamente”. E così è stato.

L’albero è regolarmente studiato, potato, ripulito dal seccume, consolidato con cavi nelle parti ritenute più fragili, concimato e curato. Ogni due anni è sottoposto a una TAC, ovverosia a una tomografia assiale computerizzata che fotografa le condizioni del legno interno. Sappiamo che la base dell’albero è ammalorata per un difetto proveniente dalle radici: il 48 % del legno basale del tronco è alterato; un esteso difetto dunque che nel tempo però, con i monitoraggi periodici, appare progredire lentamente.

Ogni cinque anni l’albero è anche sottoposto a indagini laboriose di studio dei carichi di vento per verificare la tenuta delle radici e delle fibre legnose; e i risultati ottenuti ci confermano valori alterati, ma ancora con sufficienti margini di sicurezza.

Il principale agente eziologico della sofferenza è un fungo – il Phellinus torulosus –, un basidiomicete agente di carie bianca, che sta progressivamente demolendo i tessuti vegetali dall’interno. Un albero però ha forze per produrre naturalmente delle barriere protettive nel legno per frenare o rallentare il progredire del male. In natura non esiste, salvo casi rari, la morte improvvisa: è una lenta lotta tra vigoria dell’albero e forza dei microrganismi. Molte volte è l’uomo che, con le sue azioni, mette l’albero in condizioni di basso vigore e ne diminuisce le capacità di contrastare i parassiti che sono invece dei formidabili e pazienti opportunisti.

È fuori di dubbio che i lavori di cementificazione eseguiti due anni fa per creare un dehors in vicinanza del nostro Piantone abbiano contribuito a fiaccare la vigoria e le capacità reattive del patriarca verde. L’area cementata infatti era ancora una delle poche – in origine vi era infatti del permeabilissimo ghiaietto – dove la pianta poteva assorbire acqua e ossigeno. L’avere tolto, per di più improvvisamente, questa possibilità all’albero è stato come esporre un malato di polmonite in pigiama ai rigori invernali! La pianta non ha urlato, non ha protestato, ma di fatto il suo vigore è scemato e il fungo patogeno si è potuto sviluppare più velocemente della crescita dell’albero.

Ancora oggi c’è da domandarsi chi, come e perché abbia autorizzato questa impermeabilizzazione. Per di più a insaputa di chi stava curando la pianta. Un atto inspiegabile considerando la monumentalità e l’ importanza dell’albero.

Le giustificazioni addotte dagli uffici tecnici comunali dimostrano come il burocratese e la non assunzione di responsabilità, se non nell’ovvio, abbiano spesso il sopravvento sul buon senso e sulla tecnica. È vero infatti che il Regolamento del verde comunale prevede per gli alberi una fascia di rispetto per le radici di sette metri dal tronco; ma sinceramente c’è caso e caso; c’e albero e albero. Le radici del Piantone si spingono ben oltre i limiti imposti da un articolo di un regolamento; si estendono per 20-25 metri dal tronco, minimo. Più che la bindella si sarebbero dovuti applicare il buon senso e il cervello.

La chioma è andata così impoverendosi, il seccume in quota è aumentato e alla base del tronco i carpofori dei patogeni sono proliferati. Molti suonano già le campane a morte per il Piantone; le cassandre e gli esperti dell’ultima ora e dell’ovvio proliferano. Di fatto però l’albero continua a crescere, nuovi germogli sono presenti in abbondanza e all’interno il legno perso è contenuto. E intanto si studia: nei laboratori dell’EMPA – Ente statale svizzero per la tecnologia del legno – di San Gallo ormai da mesi stiamo studiando gli antagonisti naturali del fungo patogeno del quale abbiamo isolato il DNA; ora abbiamo modificato il genoma di un fungo antagonista per renderlo ancora più aggressivo nei confronti del Phellinus.

Presto sarà pronta una prima soluzione di funghi benefici che applicheremo immediatamente al Piantone. Sarà il primo tentativo in Italia e in Europa di questa nuova frontiera della fitopatologia, l’attacco mirato a un patogeno con un ceppo di fungo antagonista iperattivo.

Incrociamo tutti le dita. Sarà, comunque vada, una grande prova d’amore, d’affetto e di competenze per un monumento vegetale che merita ogni tipo di attenzione e cura.

 

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