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In Confidenza

RISCHIO SPEGNIMENTO

Don ERMINIO VILLA - 19/09/2014

G. Molteni, La confessione, 1838

G. Molteni, La confessione, 1838

L’aveva già previsto Gesù, chiedendosi (o ponendoci la domanda): “Il Figlio dell’uomo, al suo ritorno, troverà ancora la fede sulla terra?”.
Stando a quel che pare, il “rischio spegnimento” oggi c’è, in non piccola percentuale. Lo ammetteva anche Papa Benedetto in uno dei suoi discorsi fatto ai membri della Penitenzieria Apostolica: “Nel nostro tempo, in vaste zone della terra, la fede è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento”.
Lo spegnersi della pratica della Confessione è un sintomo della diffusa disaffezione che si registra anche oggi, nella Chiesa, riguardo a questo sacramento.
Qualcuno, per imbastire il colloquio penitenziale, ammette di non “sentire più” Dio come prima… L’espressione, nella sua semplicità ed essenzialità, tocca il cuore del problema: sta venendo meno la fede, come Gesù chiedeva di verificare. Se è così, il rischio che si corre è gravissimo!
Che cos’è l’uomo senza Dio? A che cosa va incontro chi si mette contro di Lui? E’ vera libertà quella usata – come nel caso del giovane ricco – per dire di no all’attrattiva amorosa della grazia?
La prima cosa da fare – suggeriva Papa Giovanni Paolo I, che di vita spirituale se ne intendeva – è non abbandonare la preghiera, dato che “quando si tratta della fede il grande regista è Dio, perché Gesù ha detto: Nessuno viene a me se il Padre mio non lo attira”.
“Oggi abbiamo perso l’abitudine al silenzio, perché abbiamo paura di confrontarci con la verità. Così non possiamo crescere: siamo condannati alla mediocrità” (Mario Pomilio).
La seconda cosa da fare la sintetizzo con un’altra massima molto espressiva di Sant’Agostino: “Ogni giorno dobbiamo pregare, ogni giorno dobbiamo essere perdonati” (“Quotidie petitores, quotidie debitores”).
Quanto sono importanti, a questo riguardo, le scuse che impariamo a scambiarci anzitutto in famiglia. “Sentire” il dolore dei propri errori per “provare” poi la gioia di essere perdonati è un’indubbia lezione non solo di galateo, ma di fede!
Quando il riconoscimento e l’accusa dei nostri peccati è “umile, intera, sincera, prudente e breve” (come insegnava il vecchio catechismo), nel sacramento della Penitenza, amministrato per le mani della Chiesa, insieme al perdono, si riceve e si impara anche la grazia dell’umiltà.
Così la Confessione è vissuta come il “sacramento dell’umiltà dei fedeli”, che rende possibile e prepara ad accostarsi degnamente e con frutto al “sacramento dell’umiltà del Signore”, che è appunto l’Eucaristia.
“Il frutto del silenzio è la preghiera. Il frutto della preghiera è la fede. Il frutto della fede è l’amore. Il frutto dell’amore è il servizio. Il frutto del servizio è la pace”. (Madre Teresa di Calcutta).
Il santo Leopoldo Mandic, famoso e ricercato confessore della misericordia di Dio, raccomandava: “Nel confessionale non dobbiamo fare sfoggio di cultura, né dobbiamo dilungarci in spiegazioni, altrimenti roviniamo quello che il Signore va operando”, perché il solo mettersi in ginocchio per confessarsi sinceramente contiene il dolore necessario e sufficiente per ricevere l’assoluzione!

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