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Politica

LE TASSE CHE PORTANO RICCHEZZA

GIANFRANCO FABI - 07/01/2012

Un foglio del Catasto teresiano

Nessuno ormai si illude. Il 2012 sarà l’anno delle tasse. La somma delle manovre approvate dal Governo Berlusconi nell’arco del 2011 (manovre che proiettavano i loro maggiori effetti proprio dal 2012 in poi) e del pacchetto “salva-Italia” varato in una situazione d’emergenza dal Governo Monti, avrà l’effetto di portare a livelli record la pressione fiscale per i cittadini e per le imprese. Aumenterà praticamente tutto: dalle imposte dei redditi, per la diminuzione delle detrazioni, alle imposte sui consumi, con un annunciato aumento dell’IVA da settembre, dalle imposte di bollo sui depositi finanziari a quelle sulla casa con l’introduzione dell’IMU (Imposta Municipale Unica) che farà rivivere la vecchia ICI e con la revisione degli estimi catastali.

Questa ondata di nuove tasse appare purtroppo giustificata dalla necessità di riportare in equilibrio entrate e uscite dello Stato in modo da raggiungere l’obiettivo del pareggio di bilancio nel 2013. Ma ora è altrettanto urgente e importante porre le premesse perché la politica fiscale, superata l’emergenza, possa diventare un fattore di stimolo per l’economia seguendo il percorso opposto rispetto a quello degli ultimi anni: cioè riducendo le imposte e liberando quindi risorse per i consumi e gli investimenti. Ma questa strada si potrà seguire solo agendo dall’altra parte del bilancio dello Stato, cioè dalla parte delle spese. Una strada certamente più difficile, più complessa e con risultati più a lungo termine; ma una strada indispensabile anche per semplificare la vita dei cittadini, riducendo gli apparati amministrativi pletorici, abolendo le istituzioni ormai superate (come le province), abrogando gli adempimenti di semplice intermediazione.

I tagli ai costi della politica, sempre discussi e mai concretamente approvati, appaiono peraltro fondamentali per ridare efficienza ed efficacia al rapporto tra i cittadini e lo Stato.

La prospettiva dovrebbe essere quella di uno Stato più agile, meno costoso, ma insieme più efficiente, maggiormente in grado di far funzionare i mercati e di mettere a frutto le potenzialità dei cittadini e delle imprese. Uno Stato capace di fare in modo che anche meccanismi “antipatici” come quelli fiscali possano diventare elementi capaci di spingere la crescita dell’economia e la crescita del benessere.

Nella storia un esempio di questa logica è la riforma varata dall’Austria, sotto il governo dell’imperatrice Maria Teresa, a partire dal 1718 con la formazione del catasto. Il Ducato di Milano, Varese compresa, era passato da pochi anni dal dominio spagnolo a quello austriaco. Come scrive Carlo Cattaneo nella sua “Storia della Lombardia e storia d’Italia”: “S’intraprese il censo di tutti i beni, dietro un principio che poche nazioni finora hanno compreso. Si estimò in una moneta ideale, chiamata scudo, il valore comparativo di ogni proprietà. Gli ulteriori aumenti di valore che l’industria (nel senso dell’industriosità, dell’operosità, nda) del proprietario venisse operando, non dovevano più considerarsi nell’imposta: la quale era sempre a ripartirsi sulla cifra invariabile dello scudato. Ora – annota il Cattaneo – la famiglia che duplica i suoi beni, pagando tuttavia la stessa proporzione d’imposta, alleggerisce d’una metà il peso, in paragone alla famiglia inoperosa che paga lo stesso carico, e ricava tuttavia il minor frutto. Questo premio universale e perpetuo, concesso all’industria, stimolò le famiglie a continui miglioramenti”. In pratica il catasto permise di imporre una tassa sulla base del patrimonio immobiliare, una tassa che restava fissa negli anni anche se il patrimonio aumentava. Una tassa destinata quindi a pesare percentualmente di meno su chi ingrandiva il proprio patrimonio

Il catasto di Maria Teresa è passato alla storia soprattutto per la perfezione e la meticolosità con cui era stato redatto (e peraltro la sua realizzazione occupò più di quarant’anni, dal 1718 al 1760) mentre è rimasto in secondo piano lo spirito di un’imposta patrimoniale capace di incentivare e non penalizzare la crescita della ricchezza. Certo, l’attuale filosofia tributaria è dettata dai sostenitori di un’imposta fortemente progressiva che diventa quasi punitiva per i redditi più alti. Forse sarebbe da ricercare una saggia via di mezzo che non elimini la progressività, ma al tempo stesso non punisca l’operosità.

Appare comunque destinata a restare ancora a lungo un sogno l’idea che la politica fiscale possa premiare e favorire la creazione di ricchezza, di benessere individuale e collettivo, e quindi anche di posti di lavoro.

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