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Storia

I CATTOLICI E IL RISORGIMENTO

LIVIO GHIRINGHELLI - 07/01/2012

Innanzitutto una precisazione: dal punto di vista dell’anagrafe battesimale i protagonisti del processo risorgimentale, in positivo come in negativo, furono quasi tutti cattolici. Già diverso si fa il discorso, se ci si riferisce alla fedeltà nel mantenimento dei valori religiosi nelle proprie convinzioni e ancor più nella sottomissione al Papa e all’ordinamento gerarchico della Chiesa (colla rivendicazione del potere temporale in connessione colla garanzia della libertà dell’istituzione ecclesiastica).

Il buon cattolico concepisce il primato dello spirituale sul temporale e rispetta la tradizione. L’idea nazionale di patria da unificare politicamente troppo risentiva di quel tricolore che si era affermato colla discesa in Italia delle milizie della repubblica francese, coi suoi valori rivoluzionari, centralisti, laicisti. Dopo gli entusiasmi neoguelfi del 1846-48 i campioni di una politica al tempo stesso cattolica e italiana si ritraggono, tendono a ritornare al primo Gioberti. Per giunta in Piemonte si attua la legge soppressiva delle corporazioni religiose colla cancellazione delle immunità, c’è il disconoscimento delle congregazioni, l’incameramento dei beni, persino si introduce il movimento per l’emancipazione del clero, che ne mina la disciplina e negli anni che seguono l’unificazione (1861-81) alla presa di Roma si susseguono le orge dell’anticlericalismo e l’estensione territoriale delle leggi eversive. L’unitarismo si identifica in larga parte col laicismo.

In contrasto colle masse strette intorno alla Santa Sede minoritaria si scopre la presenza e l’efficacia del cattolicesimo liberale (da Alessandro Manzoni, Tommaseo, Capponi, Lambruschini a Rosmini e padre Tosti). Conciliatoristi si rivelano via via padre Passaglia promotore dell’Indirizzo del clero italiano a Pio IX, sconfessato, e conquistato da Cavour alla fine del 1860), il Salvago (uno dei direttori degli Annali cattolici-Rivista Universale, autore dell’articolo Cattolici col Papa, liberali collo Statuto – 1866), il gesuita Carlo Maria Curci, tra i fondatori nel 1850 della Civiltà Cattolica, difensore del dominio temporale, ma poi arreso di fronte all’evidenza dei fatti compiuti a sconfessione della predizione “non entreranno” dominante nei circoli papali.

Corifea e guida dell’intransigentismo la Civiltà Cattolica, critica del naturalismo politico con Padre Liberatore, del suffragio universale strumentalizzato dal parlamentarismo a inganno dei più, dell’utilitarismo e dell’accentramento dei poteri fondato sulla burocrazia, della prevalenza degli interessi di partito su quelli generali con Padre Taparelli d’Azeglio. Interessanti e di attualità gli spunti di quest’ultimo in materia economico sociale: il momento del profitto non può essere reso assoluto, l’uomo deve ridiventare il fine della produzione, il suo lavoro non va soggetto a mercificazione, contro lo spirito individualistico vanno affermati i diritti del pluralismo e dell’autonomismo.

Par la Civiltà Cattolica si impone la richiesta di una classe dirigente nutrita di un animus societatis. Ideale è un complesso organico di interessi, di aspirazioni e di istituti civili, che siano l’espressione delle forze vitali di una società. I Padri constatavano l’assenza di una reale base materiale consensuale del popolo. Al fondo l’unificazione era considerata fatto illegittimo, perché avvenuta senza il consenso di larga parte del popolo e senza seguire le forme evolutive di un procedimento rispettoso dei valori spirituali, tradizionali, di diritto naturale.

Escluso il ritorno allo status quo ante, antiliberale, ma non legittimista, l’opposizione cattolica non era caratterizzata da una vena antiparlamentare marcata, né costante. Lo sfacelo dello Stato era considerato in un primo momento ineluttabile (atto di fiducia in una storia provvidenziale), senza invito allo straniero per distruggere il fatto ingiusto o all’insurrezione. Ma poi si trascende l’astensionismo sterile concepito in attesa della catastrofe: ci si deve organizzare come se la rivoluzione dovesse vivere per sempre, c’è bisogno di una trasformazione ab imis della società civile, di una riconquista cristiana della società. Il II° Congresso dell’Opera tenuto a Firenze nel 1875 vota un programma di lotta oltre gli atteggiamenti attesistici. Si insiste sulla libertà di insegnamento, è sottolineato il monito di ricostruire le opere di assistenza e previdenza. Il non expedit si irrigidisce sino al Decreto del Sant’Uffizio del 1886 (prohibitionem importat), ma diventa sinonimo di preparazione nell’astensione, con il richiamo alla logica corporativa nella soluzione del problema sociale.

Le elaborazioni teoriche di padre Steccanella sulla Civiltà Cattolica (1871-1880), di padre Curci (Di un socialismo cristiano nella questione operaia e nel conserto selvaggio dei moderni Stati civili – 1885 – contro la nuova servitù del lavoro e a favore delle cooperative di produzione, del diritto di sciopero, purché non sfoci nella violenza), di padre Liberatore (Principii di economia politica – 1889 – contro il darwinismo economico) preludono alla Rerum Novarum. Leone XIII propone una via intermedia tra liberismo e interventismo acceso; prevede, arditamente, associazioni, un sindacalismo, di soli operai.

La questione romana resta sullo sfondo, sfumano le stesse suggestioni medievalistiche e a cavallo del secolo è ormai aperto e deciso il confronto coi socialisti: la democrazia nel cristianesimo prende le mosse da un elemento etico e religioso, non economico come per gli avversari. Non l’abolizione della proprietà privata, né la collettivizzazione dei mezzi di produzione figurano certo tra i fini, mentre ci si adopera per una trasformazione della prima, i cui detentori sono richiamati al rispetto dei propri doveri (funzione sociale della stessa). Diffusione della piccola proprietà contadina, partecipazione agli utili nelle aziende, unioni professionali separate, pronunciamenti netti contro lo sfruttamento della forza lavoro diventano via via patrimonio propositivo del movimento cattolico. Nell’ultimo decennio dell’Ottocento è tutta una fioritura di società operaie cattoliche, segretariati del popolo, casse rurali, unioni cooperative per gli acquisti e le assicurazioni.

Le masse popolari sono così aiutate a sollevarsi dalle condizioni di prostrazione in cui un Risorgimento in chiave borghese, pur meritevole sotto vari aspetti, le ha lasciate. Nessuna subordinazione al trasformismo moderato, spinta regionalistica a favore di un Meridione ingiustamente discriminato, vocazione alla riforma agraria sono temi sturziani da agitare ancora per circa un ventennio in attesa dell’ingresso dei cattolici nell’agone politico.

Questo è stato il concorso dei cattolici al successo del Risorgimento popolare.

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