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Società

LA SCUOLA FERMA A TRENT’ANNI FA

ROMOLO VITELLI - 07/01/2012

Il nuovo Ministro della Pubblica Istruzione prof. Francesco Profumo, già rettore del politecnico di Torino, nel video – forum con i lettori del quotidiano on line Repubblica.it, rispondendo alle numerose domande dei lettori, ha affrontato molti temi scottanti che vanno dalla didattica, ai concorsi e alle graduatorie dei docenti, alla valutazione scolastica, dal web alla ricerca eccetera. A proposito della didattica ha detto che il corpo docente deve rinnovarsi perché “i nostri ragazzi sono nati nell’era digitale, ma la scuola è ferma a trenta anni fa”. Leggendo queste giuste considerazioni mi sono tornate alla mente le tante frustranti discussioni affrontate dal sottoscritto con colleghi e superiori. Nel tentativo di introdurre e/o diffondere negli istituti l’educazione ai e con i mass media e l’uso della video cassetta quale strumento didattico, per la diverse discipline scolastiche, ripetei spesso sino alla stanchezza la stessa affermazione del Ministro Profumo, circa i ritardi metodologici della nostra scuola. Ricordo, mentre facevo richieste varie di acquisti di televisori e lavagne luminose, che insistevo molto nel richiamare i colleghi al dovere e all’esigenza di adeguare la nostra attività didattica ai tempi nuovi che stavamo vivendo. Insistevo nel ricordare che noi insegnanti – come andava da tempo ribadendo l’ispettore scolastico e studioso di mass media W. Moro, nel suo libro: “Insegnare TV a scuola” del 1991 – “ci trovavamo di fronte degli alunni profondamente diversi rispetto a quelli del passato. In quanto si trattava di una generazione cresciuta – sin dai primi giorni di vita – a diretto contatto con il mezzo televisivo. Gli studenti apprendevano una larga parte delle conoscenze guardando telefilm, spot, cartoni animati, videoclip ecc. Erano conoscenze visive acquisite non direttamente dall’esperienza; accumulate e assorbite spesso in modo frammentato, saltando con il telecomando da un canale televisivo all’altro.” Ero sempre più convinto che ritardare ulteriormente l’uso della TV a scuola e degli altri mezzi audiovisivi, come faceva la nostra struttura educativa in Provincia di Varese, fosse un imperdonabile errore pedagogico – didattico, che avrebbe senz’altro comportato un’ulteriore caduta di motivazione ed interesse, accentuando ulteriormente la distanza tra la scuola e la vita. Del resto questa preoccupazione non era una mia idea peregrina ed isolata, ma un fenomeno già ampiamente conosciuto, discusso e denunciato del resto sin dal 1970 nella lucida analisi sulla crisi della realtà scolastica in Occidente operata dal “Documento di Frascati”, da cui riprendiamo la citazione che segue:“La scuola non è stata in grado di adeguarsi ai mutamenti che lo sviluppo economico da un lato, il diffondersi di nuovi mezzi di comunicazione e di nuovi canali d’informazione inducevano nella massa dei giovani. Alla sempre più precoce maturità delle generazioni che vi affluivano essa ha offerto strutture percepite come oppressive e soffocanti”. Del resto già i programmi ministeriali della Scuola Media del 1979 vollero recepire queste istanze, richiamando l’urgenza di introdurre a scuola l’educazione ai e con in mass media. Ma nonostante studiosi di vaglia, pedagogisti, specialisti di chiara fama ed agenzie formative nazionali ed europee varie reclamassero l’introduzione a scuola delle nuove tecnologie multimediali, i governi che si sono succeduti da allora hanno disatteso queste giuste istanze con il risultato purtroppo che la lavagna, il gesso, la lezione frontale e il libro di testo hanno continuato, salvo lodevoli eccezioni, a monopolizzare l’intera attività didattica nelle aule scolastiche. Dal “documento di Frascati” del 1970 e dai programmi della Scuola Media del 1979 ormai sono passati purtroppo molti anni e oggi il ministro Profumo può forse dire (ed io con lui, se mi è consentito) che “…se i nostri nonni si risvegliassero, troverebbero un mondo che è l’Odissea 2001 nello spazio. Invece la scuola è la stessa, con gli stessi banchi in formica verde”.

Con una differenza non di poco conto: gli studenti che oggi da piccoli entrano nelle aule, non solo sono profondamente diversi rispetto a quelli analizzati dai due documenti del secolo scorso, ma rappresentano la cosiddetta “Generazione Duemila,” quella cioè dei ‘nativi digitali’- spiega Alessandro Trivilini, ingegnere informatico, docente e ricercatore alla Supsi- cresciuta col computer e il cellulare, sin dai primi giorni di vita, a diretto contatto con strumenti multimediali diversificati: da quelli tradizionali ai new media, in un contesto che è stato definito “di società di rete”.

I nativi digitali parlano una lingua diversa, hanno schemi mentali radicalmente diversi rispetto a quelli delle altre generazioni. Ma non solo. “La psicologia, il modo di esprimersi – continua Trivilini – l’approccio ai nuovi strumenti è molto più naturale, i ‘digitali’ non hanno bisogno, ad esempio, di leggere le istruzioni come i loro genitori”. Insomma, una generazione dalla comunicazione fatta di icone e dal pensiero “multitasking” vale a dire in grado di gestire più cose contemporaneamente. E secondo molti studi si tratterebbe di un modello vincente nella vita.”

Ne consegue da tutto ciò che ormai solo una parte dell’apprendimento avviene nelle aule scolastiche. La scuola, secondo ricerche approfondite, partecipa alla formazione dei giovani solo per un 20/25%. C’è tutta una “scuola parallela”, più motivante ed allettante, che svolge un ruolo importante nella loro crescita. Il mondo multimediale nel quale sono immersi gli adolescenti oggi ha anche cambiato il loro modo di pensare. “Le nuove generazioni” dice l’insegnante M. Rossi Doria, sottosegretario all’Istruzione del Governo Monti, “sono passate dalla tradizionale logica sequen­ziale a quella interattiva, alla cui base c’è l’ipertestualità. Susanna Mantovani, ordinario di Pedagogia all’università Bicocca, autrice di diverse ricerche sui “nativi digitali” dice: “Io stessa sono una tecnofoba pentita. Ero un’acerrima nemica dei computer nella vita dei bambini, poi ho cominciato a capire le infinite potenzialità di questo mondo, di cui i più piccoli sono diventati i protagonisti. Gli universi possono convivere, la scuola si deve aprire ma anche conservare le proprie caratteristiche educative. E saranno i bambini a fare la sintesi, abilissimi come sono a imparare mille cose insieme”. Occorre dice il Ministro Profumo “ridisegnare la scuola in strutture diverse. L’aula chiusa non va più bene. In Finlandia non ci sono più classi e i laboratori, ma si lavora in spazi aperti e a volte si cambia il ruolo docente-discente” ed aggiunge: “si può fare una scuola web 2.0 con strumenti diversi a costi ridotti per le famiglie e introducendo tablet al posto dei libri”. È importante che il liceo classico “E.Cairoli” di Varese, abbia introdotto lo studio con Internet, con il tablet, così come raccomanda il Ministro etc., ma bisogna che questo interessante esperimento non rimanga un’esperienza isolata, ma coinvolga gradatamente tutto il corpo docente del “Cairoli” attraverso un’opera di formazione in servizio del personale all’uso e all’educazione ai e con i mass media.

Ma per realizzare questo obiettivo formativo occorre una nuova scuola, più fluida, inedita e capace di integrare la lezione frontale dell’insegnante con il testo con i mezzi audiovisi, permettendo ai ragazzi, come raccomanda il Ministro, anche di tenere lezioni individuali e di gruppo alle classi (cosa che ho sempre sperimentato con indubbio successo nelle mie classi liceali). Il libro troverà così con il tablet, Internet, gli audiovisivi vecchi e nuovi dei potenti alleati a condizione che l’insegnante sappia navigare con disinvoltura sul web, utilizzando accanto ai libri ai tablet, i CD, i DVD delle lezioni filosofiche di Vattimo, Bodei, Severino; o le letture dantesche dei vari Sermonti, Gassman, Benigni eccetera.

Una forma miope e sbagliata di politica restrittiva ha portato il nostro Paese a vivere nell’incertezza e nel disagio il suo presente e il suo futuro. Il disagio di cui stiamo parlando va collocato nel quadro più generale di una crisi cognitiva del Paese. Si ha crisi cognitiva – secondo Carlo Donolo, professore di Sociologia del Diritto presso la Facoltà di Scienze Statistiche dell’Università La Sapienza di Roma, che ne parla nel suo libro dall’emblematico titolo: “Italia sperduta”: “quando una società perde il suo orientamento verso il futuro, cessa di nutrire speranze fondate, si spaventa di fronte alle nuove sfide proposte da un mutamento globale che investe ogni aspetto del reale.” Ed è proprio un disagio cognitivo quello che sta vivendo l’Italia.

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