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Attualità

PAOLO VI/1 LA GIOIA CRISTIANA

GIAMPAOLO COTTINI - 17/10/2014

montini bimboIl XX secolo ha un record di papi riconosciuti santi dalla Chiesa o di cui è in corso il processo di beatificazione, tanto che l’espressione “santo padre” sembra istituire un nesso quasi necessario tra l’esercizio del pontificato e la personale esperienza di santità. Ma si è santi per come si vive prima che per il ruolo di responsabilità che si esercita, per cui è essenziale entrare nella loro vita per impararne la profondità di dedizione totale a Dio, come nel caso della beatificazione di Paolo VI che non è figura circondata dalla popolarità di cui godono san Giovanni XXIII e san Giovanni Paolo II. Eppure la storia dimostra che egli è stato forse il più grande e significativo Papa del’900 poiché senza di lui la Chiesa non avrebbe fatto i grandi passi di rinnovamento legati soprattutto al Concilio, ma ciò è stato possibile grazie alla sua umanità spesa nell’intelligente e magnanimo servizio alla Chiesa dapprima nella diplomazia vaticana con Pio XII, poi da arcivescovo di Milano ed infine da papa.

Bisogna però sfatare alcuni luoghi comuni: papa Montini non era affatto il tipo dubbioso ed incerto, tormentato tra un’apertura eccessivamente progressista e una difesa acritica della tradizione; era piuttosto un cristiano a tutto tondo, realmente cattolico nell’apertura alla Verità tutta intera di cui voleva valorizzare ogni sfumatura. Tenendo ben ferma la barra del timone della barca di Pietro, fu fedele al mandato di custodire il deposito della fede non come sua proprietà, ma come dono ricevuto perché il Credo del popolo di Dio permanesse nel tempo. Il cuore della sua santità risiede proprio qui, nell’amare il primato di Dio nella vita per essere in grado di accogliere ed ascoltare tutto l’umano. Lo aveva imparato nel lavoro apparentemente formale svolto presso la Segreteria di Stato, lo aveva posto come programma del suo episcopato milanese, era pronto a realizzarlo compiutamente nello stile petrino che ha inaugurato.

Eletto Papa nel 1963, la prima decisione fu di continuare il Concilio e di dargli pieno compimento incrementando la comunione tra i vescovi con lo strumento del Sinodo e con la riforma della Curia romana, rilanciando l’evangelizzazione, affrontando gli enormi problemi di un mondo che stava rapidamente mutando. Con grande intelligenza ed acuta sensibilità culturale si è messo in ascolto delle istanze della modernità per coglierne gli aspetti autentici alla luce del Vangelo, senza timore di rendersi impopolare nella difesa dell’insegnamento morale della Chiesa (ricordiamo l’Humanae Vitae) o di difendere i diritti dei più poveri con l’insegnamento sociale della Populorum Progressio.

Ma nella straordinaria ampiezza del suo pontificato è importante ricordare soprattutto il suo essere uomo del dialogo con la modernità, guida di una nuova evangelizzazione, testimone della gioia cristiana.

Inaugura il metodo del dialogo con la prima enciclica programmatica del 1964 Ecclesiam Suam in cui a cerchi concentrici mostra come il dialogo dentro la Chiesa, tra le diverse confessioni e religioni deve raggiungere l’intera umanità, senza superba pretesa di una superiorità ma per la coscienza del carattere inclusivo che la fede ha di valorizzare ogni frammento di verità e di intercettare le giuste domande della modernità, parlando anche a quelle che papa Francesco chiamerebbe le periferie dell’umano. Da questa apertura del cuore e della mente nasce la forza dell’evangelizzazione che Paolo VI ha vissuto, in obbedienza al nome prescelto, come missione a tutte le genti inaugurando la prassi dei viaggi intercontinentali divenuti normali per i suoi successori. Ancor oggi Papa Bergoglio cita la Evangelii Nuntiandi del 1974 come uno dei testi esemplari per orientare una “Chiesa in uscita”.

Ma forse ciò che stupisce di più della sua personalità cristiana è la limpida testimonianza che ha saputo offrire della gioia cristiana cui, unico tra i papi, ha dedicato nel 1975 uno specifico documento, l’esortazione apostolica Gaudete in Domino. Solo un santo poteva scrivere un documento sulla gioia in un momento storico così travagliato e difficile, al termine di un Anno Santo che non aveva raccolto i frutti sperati. Ma la gioia vera non nasce dal successo mondano, bensì da Cristo che Montini aveva imparato ad amare sin da giovanissimo, l’Unico capace di trasfigurare l’esistenza sino alla morte avvenuta per lui proprio nel giorno dedicato alla Trasfigurazione del Signore del 1978.

La sintesi di questo pontificato sta proprio nella profonda religiosità di Montini, vissuta come cifra di ogni suo impegno e valorizzata nel naturale senso religioso di cui aveva scritto nel 1957 in una lettera pastorale per la grande missione cittadina di Milano. Ma prima ancora di questa finezza d’animo, in lui ha sempre prevalso la certezza che essere cristiani è bello, che Dio ha creato una bellezza che permea la scena drammatica di questo mondo e che rende ragionevole obbedire all’imperativo paolino “siate lieti nel Signore”.

Ora Paolo VI è riconosciuto beato e speriamo di poterlo annoverare presto tra i santi, nonostante le incomprensioni sofferte in vita, smentite dall’applauso scrosciante tributatogli il giorno del suo funerale, quando la sua povera bara di legno uscì da Piazza San Pietro accompagnata dalla commossa platea dell’umanità che aveva tanto amato.

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