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Apologie Paradossali

SOPRATTUTTO NIENTE ZELO

COSTANTE PORTATADINO - 24/10/2014

Charles-Maurice de Talleyrand

Charles-Maurice de Talleyrand

La citazione di Talleyrand, spesso ribadita in politica e in diplomazia, mi rincorre da più di cinquant’anni, da quando al liceo presentammo, un mio compagno ed io, una esercitazione non richiesta al professore di filosofia, per altro un tipo singolare. Ci disse: Surtout pas trop de zéle. Allora non la capii, più tardi me la sono applicata più volte, dopo un errore commesso per la fretta o dopo un pericolo scampato per un indugio.

Il caso si è ripetuto la scorsa domenica in una circostanza apparentemente banale. Andando in auto alla Messa nel paese vicino, arrivo sullo slargo dove mi appresto a parcheggiare, scegliendo con calma lo stallo più largo, quando un’auto mi sfila veloce sulla destra, dove intendevo svoltare (indicatore di direzione azionato).

Paura mia e dei passeggeri, (il colpo sarebbe stato violentissimo, se avessi svoltato un secondo prima) gesto di scusa dell’altro guidatore, che parcheggia cinquanta metri più avanti, vicino alla chiesa, scarica moglie e bambini e da lontano soggiunge. “Non volevo far tardi alla Messa”.

Tutto è bene quel che finisce bene e taccio. Ma per tutta la Messa, cui siamo comunque arrivati ben puntuali, mi rode un pensiero: chi ha ragione? Quel tipo, che in fondo sosteneva l’antica tesi che il fine giustifica i mezzi; che per un fine buono compiva un’azione almeno imprudente, o io che cerco sempre un parcheggio regolare, che non mollo l’auto in sosta vietata, anche a costo di arrivare in ritardo alla Messa, pur sapendo che non ci saranno vigili in giro? Intanto che mi rodo, arriva la lettura del Vangelo, con il passo in cui Gesù scaccia i mercanti dal Tempio, rovescia le bancarelle dei cambiamonete e dei venditori di colombe (gesto di zelo non politicamente corretto) e la mia certezza si incrina: visto l’alto esempio, devo pensare che non sempre la prudenza e il rispetto delle regole siano virtù.

Finisce che mi distraggo dal seguire l’omelia, (mi succede spesso, anche a causa delle ripetute divagazioni personali dei vari predicatori) pensando in continuazione a quanto spesso nella Chiesa l’alternativa tra zelo e prudenza sia scivolata in contrasto tra accanimento dottrinale e accomodante compromesso oppure tra temeraria innovazione e impotente trantran della struttura tradizionale. E ancora: quante volte pensiamo che per il bene (mondano) della Chiesa possiamo passare sopra a regole di convivenza civile di ben maggiore portata di quelle del codice stradale.

Qual è quindi la regola che ci preserva dai rischi dell’eccesso di zelo, ma che nemmeno ci acquieta in una placida pigrizia? Il giusto mezzo, in medio stat virtus? Fortuna audaces iuvat? Nemmeno i proverbi aiutano. E mentre la messa è finita e penso a quanto un simile dilemma debba pesare sulla coscienza di Papa Francesco e su ciascun partecipante al Sinodo sulla famiglia, mi ricordo di una massima di Tovini, messa a regola delle sue azioni, sia ecclesiali, sia civili: “fare bene il bene,” che mi pare significhi: se vuoi fare il bene, anche spirituale, devi farlo “bene”, secondo quei modi e con quelle attenzioni che non espongano la tua azione, cristianamente orientata, alla critica di aver trascurato una corretta dimensione civile o semplicemente umana.

Mentre mi compiaccio di aver trovato questa soluzione teorica, ritorno all’auto, vedo la fiancata ammaccata da tempo e mi scappa un pensiero opportunistico: ma se invece di una botta terribile, mi avesse fatto solo qualche graffio, mi sarei rifatto la fiancata a spese dell’assicurazione…

Che sfortuna, non aver avuto un piccolo incidente, avendo ragione. È un pezzo che lo aspetto…

È proprio difficile, fare bene il bene.

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