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Cultura

IL VALORE DEL SILENZIO

EDOARDO ZIN - 31/10/2014

“Ora et labora” all’Eremo di Camaldoli

“Ora et labora” all’Eremo di Camaldoli

“Messaggero di pace, realizzatore di unione, maestro di civiltà e soprattutto araldo della religione di Cristo, fondatore della vita monastica in occidente”: con questi titoli il beato Paolo VI proclamava il 24 ottobre di cinquant’anni fa l’abate San Benedetto patrono principale dell’intera Europa. Nello stesso giorno, papa Montini riconsacrava a Dio il tempio di Montecassino distrutto vent’anni prima durante il conflitto mondiale.

Proprio partendo da Montecassino – nei secoli VI e VII – i seguaci di Benedetto diffusero nell’Occidente dell’Europa il messaggio evangelico: Agostino arrivò all’odierna Inghilterra e fu il primo vescovo di Canterbury. Dall’Irlanda partì Colombano per evangelizzare parte della Francia, della Svizzera e, in Italia, a Bobbio fondò un importante monastero. Patrizio in Irlanda e nelle isole britanniche, Bonifacio in Renania e in Baviera, Villibrordo nell’attuale Lussemburgo diffusero la parola di Dio e seminarono i germi della solidarietà. Più tardi, nei secoli IX e X, i fratelli Cirillo e Metodio evangelizzarono l’Oriente slavo.

Perché Benedetto fu proclamato patrono d’Europa? Quali valori “benedettini” si possono applicare oggi al vecchio Continente?

Coloro che hanno i capelli grigi come chi scrive, fin dai primi anni di scuola appresero che i seguaci di Benedetto salvarono la cultura greco-romana trascrivendo su pergamene le opere dei grandi scrittori classici, che rischiavano di andare perdute nei secoli bui che seguirono alla caduta dell’Impero Romano.

I monaci vivevano – e vivono – in una comunità dove il tempo era – è – scandito dalla preghiera, dalla riflessione sulla Parola, dal silenzio (ora) e dal lavoro (labora). La trascrizione degli autori classici faceva parte del loro lavoro, ma essi, prima di essere amanuensi furono creatori di comunità, nelle quali nessuno viveva a spese degli altri. Da esse nessuno veniva escluso: l’ospite veniva accolto come “Cristo in persona”. Nei monasteri si praticava – si pratica – il ministero della Carità. Tra preghiera, lavoro e carità scorreva – scorre – il tempo dei monaci.

Oggi, nel nostro continente, il tempo è occupato dal frenetismo più che dalla riflessione, dall’ammirazione di sé stessi più che dall’attenzione verso gli altri. Anche le tappe della vita sembrano distruggere il tempo: per i giovani, anziché essere la loro età tempo di formazione culturale in vista del lavoro, essa è spesso vissuta come carrierismo rampante. Per molti anziani il tempo assume non il carattere della saggezza, ma assillo per essere agili e scattanti. Il passato è occasione di rimpianto, di malinconia, di nostalgia, il futuro è frenesia. Non si vive nel presente la “dinamica del provvisorio” (fr. Roger). I benedettini insegnano agli europei d’oggi il valore del tempo che occorre recuperare senza lasciarsi attirare dal “dopo” che sfugge e dal “prima” che può deprimere.

Appropriandosi del tempo gli europei scopriranno il valore silenzio, che è riflessione, affetti cari, contemplazione. Nella solitudine della propria coscienza anche i gentili d’oggi (gli agnostici, gli atei, i razionalisti) si interrogheranno sul Trascendente e sullo Sconosciuto. Solo i non pensanti, sommersi dal chiasso sguaiato ed aggressivo, non potranno riempire il loro vuoto interiore. Sarà la serenità ad improntare a dolcezza le relazioni familiari. La scuola ritroverà nella riflessione e nella critica ragionata motivi di crescita spirituale. La politica nuovi e più larghi orizzonti.

Il silenzio favorirà l’ascolto. Nei monasteri, durante la mensa, oltre a nutrire il corpo col cibo, si nutre lo spirito con l’ascolto di letture. Nel mondo d’oggi c’è un consumo di parole che rischia di strappare ad esse il vero significato. Questo consumo viene favorito anche dal supermercato offerto dalle nuove tecnologie e dai media. Mettersi in ascolto degli altri nel segno della gratuità, dialogare con tutti, sostare davanti alla natura e stupirsi della bellezza sono condizioni per distinguere ciò che è vitale da ciò che è inconsistente. Sarà necessario recuperare anche la cultura nelle sue diversità, resistendo all’omologazione del pensiero dominante.

Nella regola di Benedetto il lavoro è concepito non solo come manufatto, ma mezzo per valorizzare la dignità dell’uomo e per risvegliarne la creatività. In esso i monaci ritrovavano – ritrovano – la propria interiorità e scoprivano – scoprono – le singolari capacità che nessun altro può offrire. La società europea contemporanea, al contrario, è ossessionata dalla produzione e dal conseguente profitto. Perfino il tempo libero è considerato come continuazione del lavoro, che diventa disumanizzante per la persona e deleterio per il creato e viene considerato solo come fonte di guadagno, non come bisogno per esplicitare abilità e desideri. Ciò finisce per impedire l’accesso ai bisogni essenziali a migliaia di persone, soprattutto a chi è alla ricerca di un inserimento o di un’integrazione.

Cinquant’anni fa, Paolo VI da Montecassino invitava: “tutti gli uomini di buona volontà” a ricomporre la “bellezza assoluta… spezzata in un groviglio di eventi storici” attraverso il libro per restaurare il gusto del sapere, l’aratro capace di ispirare agli uomini “la cura amorosa dell’ordine e della giustizia, come base della vera socialità” e con la Croce, con la Fede, capace di dare “consistenza e sviluppo agli ordinamenti della vita pubblica e privata”.

L’Europa è ansiosa di vita, eppure è stanca e vuota. È tra uno stato di attesa ed una sconsolata rassegnazione.

Per guarire da questa depressione occorrerà che il nostro continente ritrovi il senso dello stare assieme, il valore del tempo, del silenzio, dell’ascolto, del lavoro e dell’accoglienza come ha insegnato Benedetto

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