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Attualità

LIBERARE L’UOMO DALLA FAME

GIUSEPPE ADAMOLI - 21/11/2014

Expo

La mascotte di Expo2015

Chi voglia rappresentare realisticamente l’Italia degli ultimi dieci anni dovrebbe scrivere la storia di Expo 2015. Ci sono tutti gli ingredienti sufficienti. Geniali le idee presentate per aggiudicarsi la competizione con Smirne. Buonissima la corsa iniziale di tutte le istituzioni coinvolte: il governo di Prodi, la Regione di Formigoni, la Milano della Moratti. Vedere uniti tutti i tradizionali avversari politici per conseguire la vittoria è stato uno spettacolo edificante.

Però è durato poco. Immediatamente dopo si è vista l’altra faccia della medaglia: confusione sulla strategia operativa; litigi fra la Regione e il Comune (gestiti dallo stesso partito) sulla governance; girandola di amministratori delegati e alti dirigenti; disputa sulle aree da acquistare (che cosa ne sarà dopo?); pericoli di infiltrazioni mafiose e vicende di corruzione.

Il tema dell’Expo “Nutrire il pianeta, energia per la vita” è certamente ideale per l’Italia. Abbiamo davvero le carte in regola per la filiera alimentare, le biodiversità, l’agricoltura delle piccole e medie imprese come modello di sviluppo antagonista all’agricoltura industriale delle multinazionali che rischia di inquinare l’ambiente e il suolo.

Il modo di raccontare Expo è oscillato finora dalla retorica al disfattismo. “Un grande vetrina della bellezza italiana”. Oppure, “Solo spreco e corruzione”. Se molti italiani pensano che Expo sia una grande fiera per gli chef di tutto il mondo dove è in palio il trofeo del cibo migliore significa che la buona comunicazione ha fallito. L’obiettivo è ovviamente molto diverso, dare un importante contributo di idee e proposte per liberare l’uomo dalla fame e renderlo più libero.

I visitatori saranno venti milioni secondo le previsioni, di cui cinque milioni di cinesi. I problemi dell’ospitalità e dei trasporti che tanto hanno impegnato (giustamente) la narrazione giornalistica sono reali ma non sono i principali dell’expo. Basti pensare al numero più alto di persone e famiglie che visitano Venezia e Roma seppure durante un anno intero anziché in sei mesi. La sfida è farli tornare, farli innamorare dell’Italia, del paesaggio, dell’ambiente fisico ed umano, della nostra campagna, oltre che dell’arte e della storia.

Milano sta cambiando volto. Si nota un fervore di iniziative, una “elettricità” che coinvolgerà sempre di più i cittadini, le associazioni civili, le organizzazioni produttive. E le altre città, non solo in Lombardia? Tipica ed errata la domanda di molte di loro. Cosa ci guadagniamo noi? In realtà le ricadute positive le avranno quelle città che si sono poste l’altra domanda, quella giusta: come possiamo contribuire al buon esito del grande evento?

Gli esempi positivi per fortuna non mancano. Nella nostra provincia si potrebbe fare molto di più. È tardi ma un certo risveglio si nota anche qui. Purtroppo la stanchezza amministrativa della città capoluogo, in arretramento su tutti i fronti (sociale, economico, demografico), ha investito anche questo campo d’impegno dove non ha saputo fare da traino.

Sarebbe molto interessante un instant book a sei mesi dall’inaugurazione per fotografare lo stato dell’arte nelle sue molteplici facce. Se fossi un giornalista lo farei con molto piacere. Azzarderei anche una previsione di successo, malgrado i ritardi e le polemiche aspre. Ma lascerei senza risposta domanda la domanda più difficile: perché in Italia bisogna vedere il baratro per risollevarsi?

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