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Chiesa

L’ABETE RISPLENDEVA

EDOARDO ZIN - 04/12/2014

?????????????????????????????????Scendeva un impertinente nevischio. Dal finestrino del treno che mi portava in un villaggio delle Ardenne notavo nei centri abitati la gente che girava rasente ai muri. Il cielo si era abbassato e a mezzogiorno era già buio. La nebbia, opaca come il cielo, avvolgeva la strada parallela alla ferrovia. Le foreste di conifere, svettanti, ricoprivano grandi estensioni e si alternavano a steppe brulle. Intanto la neve continuava a cadere e si faceva più fitta, infinita.

Ero stato invitato in una famiglia di amici a vivere con loro la prima domenica di Avvento. Sulla tavola, preparata con la sobria eleganza nordica, era pronta la choucroute fumante. Il più piccolo dei figli accese la prima candela dell’Avvento e ci fu un momento di raccoglimento: Denken ist danken.

L’albero di Natale non era stato ancora allestito. L’avrebbero portato gli angeli, la vigilia di Natale, al ritorno dalla Messa e solo allora si sarebbe potuto contemplarlo e i bimbi sarebbero corsi verso i doni deposti ai suoi piedi.

Gottfried, il capofamiglia, mi spiegò che, nel tempo dell’anno in cui il sole ritornava a salire in cielo, gli antichi germani sentivano di dover festeggiare il grande avvenimento adornando un abete nella foresta e, nella radura luminosa, si rallegravano con danze e canti… Finché arrivò un monaco, Villebrord, ad annunciare a quelle popolazioni che in una regione lontana era nato un Uomo che portava la luce, annunciando che la luce era dentro ad ogni uomo, non fuori.

Capii, allora, che l’abete è il simbolo del tempo, della vita che passa, del succedersi delle stagioni e della speranza nel ritorno della primavera. Vita e speranza. L’abete sempre verde infonde il desiderio di avere fiducia a ritrovare la forza di rivivere, di trasformare il male in un terreno dove i germogli di bene possono crescere, gli spiragli di luce tratteggiare il futuro!

Il tempo, infatti, è il campo della realizzazione della speranza, non l’incubo da cui fuggire, ma il momento della realizzazione dell’uomo che interroga se stesso, le cose, gli eventi e dona loro un senso.

Lo ha detto anche Papa Francesco parlando ultimamente al Parlamento Europeo: “Sono venuto a portarvi un messaggio di speranza basato sulla fiducia che le difficoltà possano diventare promotrici potenti di unità… Dare speranza non significa solo riconoscere la centralità della persona umana, ma indica anche favorirne le doti… [investendo] su di essa,… sull’educazione,… sulla famiglia…”.

La speranza non è utopia, attesa vana, disimpegno, ma premura per costruire un mondo migliore prendendo cura della fragilità particolarmente presente negli anziani, nei giovani privi di punti di riferimento, nei numerosi poveri, nei migranti…

Mentre la neve cadeva giù con lentezza, la prima candela accesa sembrava scesa dal cielo per fugare le futili speranze vendute e acquistate a forte prezzo. Apriva i nostri cuori alla fiducia di un nuovo giorno, in cui la notte (mogli abbandonate dai mariti e viceversa, genitori delusi per le scelte dei figli, persone vittime dell’odio e dell’invidia dei vicini, dolori o sofferenze apparentemente senza uscita) sarebbe stata vinta dalla luce e i fantasmi notturni spariti per cedere il posto alla realtà della vita buona.

Nel pomeriggio, l’abete risplendeva nel tempio protestante del villaggio. Tutta la comunità, cattolici e riformati, si era riunita per prepararsi al Natale. La domenica successiva si sarebbe ritrovata nella chiesa cattolica.

Era alto l’abete, decorato da stelle di paglia intrecciati dai bimbi delle scuole e le candeline erano vere, di cera gialla, espressione del lavoro delle api ed erano diritte sostenute da un utensile inventato dal Pastore. Ad una fronda dell’abete, in basso, era appesa la lettera alfa dell’alfabeto greco e in alto, vicino alla cima, la lettera omega: il principio e la fine.

Splendevano le candeline nella penombra, mentre un anziano del paese, seduto su una poltrona e attorniamo dai bimbi, raccontava com’era il Natale ai suoi tempi. Parlava adagio. I bimbi, stupiti, lo ascoltavano e ogni tanto alzavano la mano per porre le domande. Al termine il canto soave di “O Tannembaum” risuonò nel piccolo tempio. La speranza “la più piccola delle virtù” – come la chiamava Charles Péguy – si stava realizzando in quelle voci. Pensavo a von Balthasar: “Sperare è possibile solo se si spera per tutti”, a Gabriel Marcel: “La speranza è un’attiva lotta contro la disperazione”, a Eric Fromm: “La speranza è la capacità di un’attiva intesa, ma non ancora spesa”. Ma la speranza non si definisce, si vive.

Uscendo, il sagrato era ricoperto dalla neve che luccicava abbagliando gli occhi con il suo candore. Nonostante il verglas si poteva camminare sulla strada, con la speranza di non capitombolare a terra.

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