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Economia

POSTE, UN PORTO SICURO. PER CHI?

ENRICO BIGLI - 09/01/2015

buono fruttiferoLe Poste sono da sempre il porto sicuro per chi non ha nessuna propensione al rischio e poca o nessuna conoscenza finanziaria, e vuole gestire i propri soldi in tutta sicurezza. Un’immagine di un passato decisamente lontano, almeno a giudicare dalle critiche mosse dalla CONSOB alle Poste e riportate in un articolo di Repubblica, prodotti complessi e rischiosi, forme di marketing scorrette, pressioni sui dipendenti per realizzare obiettivi di budget sempre più ambiziosi, conflitti di interesse tra BancoPosta e Poste SpA, e altro ancora.

Le normative impongono a chi vende strumenti finanziari di valutare la conoscenza e la propensione al rischio di chi acquista. Un tentativo di superare l’asimmetria informativa e tutelare i piccoli risparmiatori, ai quali intermediari senza scrupoli potrebbero vendere strumenti tanto rischiosi quanto incomprensibili. Normative evidentemente insufficienti se, come riportato da Repubblica, “tre quarti dei clienti BancoPosta sono concentrati sui tre livelli più alti di esperienza e conoscenza”. Siamo diventati un popolo di esperti di finanza? Purtroppo non è così, al contrario tutte le indagini segnalano una quasi totale mancanza di competenze in ambito finanziario. Se si rispettasse la normativa CONSOB e si inserisse la reale modesta conoscenza finanziaria quasi tutti i prodotti di BancoPosta infarciti di ogni sorta di “derivati” non potrebbe essere venduta ad ignari piccoli risparmiatori.

A loro difesa le Poste: non negano queste pratiche scorrette, ma segnalano che sono già partite le contromisure per correggere la rotta. Non sembra essere contestata nel merito quella che appare come una bruttissima vicenda, emblematica di cosa sia diventata gran parte della finanza: non uno strumento al servizio delle persone e dell’insieme della società, ma un fine in sé stesso con l’unico obiettivo di fare soldi dai soldi, dove tutto o quasi diventa lecito.

Presi con le mani nel sacco, si promette di non rifarlo più. Non può essere così semplice, anche perché rimangono alcune domande di fondo: prima tra tutte, cosa avviene per i milioni di risparmiatori che negli scorsi anni sono stati spinti a sottoscrivere prodotti complessi e forse rischiosi, senza un’adeguata comprensione? Quanto le Poste hanno goduto di un “sussidio implicito”, guadagnando da tali prodotti senza remunerare i clienti per i rischi corrispondenti? Ancora a monte, per quale motivo le Poste si lanciano in tali operazioni ponendosi come obiettivo la massimizzazione del profitto e non l’interesse generale, come dovrebbe fare un ente sotto controllo pubblico? È questo il brillante risultato della trasformazione delle Poste in una SpA? E cosa potrebbe succedere nei prossimi anni, se dovesse andare in porto la proposta di privatizzazione, e il conseguente ingresso di investitori interessati unicamente alla remunerazione del proprio capitale?

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