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Pensare il Futuro

LE PRIORITÀ DA METTERE IN FILA

MARIO AGOSTINELLI - 09/01/2015

orologiNel dare avvio ad una rubrica dal titolo impegnativo, ma stimolante, penso di dover fare una premessa per rendere più agevole il rapporto che si instaurerà con i lettori.

Viviamo in uno spazio ed in un tempo che nell’arco di vita anche di una sola generazione hanno offerto cambiamenti raramente riscontrabili nella storia umana. Eppure veniamo costretti a vivere in un eterno presente ed a rinchiuderci entro recinti territoriali opachi alle tragedie e alle sfide che ci circondano. Se il tempo è cambiamento e l’ambiente vitale è quello del mondo intero, direi che da noi si sta vivendo un po’ fuori dallo spazio e dal tempo. Solo la televisione “buca” quello spazio e quel tempo, ma la televisione non la facciamo noi, la fanno altri al posto nostro, consegnandoci un punto di vista che spesso si abbatte acriticamente sulle nostre percezioni della realtà. Anche quando ci rifugiamo su Internet o utilizziamo i social network, siamo esposti alla difficoltà di scegliere tra uno “tsunami” di informazioni dentro cui camminiamo a fatica. Siamo davvero capaci di autentici viaggi? Se volessi usare un approccio serioso, direi che siamo di fronte ad un bilancio del modello di produzione e di consumo e di dominio politico e culturale del mercato, che ha riflessi enormi, oltre che sulla ridistribuzione del reddito e della proprietà, sulle prospettive di vita del genere umano, sulla stessa sopravvivenza del pianeta. Eppure non siamo protagonisti nemmeno di questa presa di coscienza.

“Per quanto tempo ancora”? Questa è la struttura comune a molte domande sul futuro – avere un lavoro, ammirare i ghiacciai, estrarre il petrolio, difendere la pace – rimosse dal ricorso all’illusione di perpetuare un presente sempre più accettabile per pochi, sempre più escludente e di poterne far parte individualmente con l’appannamento di quella speranza collettiva che ha sostenuto sempre la creazione di comunità.

Di conseguenza vorrei portare ad esempio e valorizzare riflessioni, convinzioni ed esperienze che inducano a riscattare il “tempo proprio”, fatto di autonomia, relazioni, memoria, tensione alla riproduzione, riconoscimento della natura e coltivazione dei beni comuni. Tutte opzioni poco o niente tenute in conto – se non osteggiate – nella vicenda umana di chi è messo al lavoro, di chi consuma magari indebitandosi, di chi comunque subisce ingiustizia sociale o il deterioramento dell’ambiente in cui vive.

Nei prossimi appuntamenti, per vostro sollievo, non ci sarà bisogno di ritornare grevemente su queste affermazioni, perché si tratterà di racconti, non di indebite raccomandazioni. Ricordo solo che sul tempo e sul suo rapporto con la società, bastano gli aforismi tramandati dal passato per esprimere tutta la complessità e la profondità di qualcosa che ben conosciamo, ma che non sapremmo definire in tutta la sua complessità. Per Seneca il tempo è il dono più prezioso, che nemmeno chi ama può restituire. Per Voltaire solo gli operai sanno quanto vale il tempo: infatti se lo fanno pagare. Per Benjamin gli insorti della Comune di Parigi hanno sparato sugli orologi. Per Gianni Agnelli l’esibizione dell’orologio sul suo polsino sostituiva l’ora pubblica dei campanili, mentre l’odierna forma-orologio è incorporata in ogni dispositivo – il cellulare in particolare – come se fossimo parte di una catena di montaggio mobile in cui si diventa cronometristi della propria prestazione.

A conclusione di questa introduzione alla rubrica che mi è stata offerta con cadenza quindicinale, aggiungo un’ultima osservazione. I grafici degli eventi che metteremo sotto osservazione e che svelano la rotta del mondo e della crisi epocale che ci riguarda hanno andamenti comuni e sono rappresentati sostanzialmente da due tipologie di curve: si tratta, nel primo caso, di curve che, dopo un percorso quasi piatto per millenni, si impennano negli ultimi decenni e assumono un andamento asintotico e, nell’altro caso, di curve a campana, con il massimo situato nel nostro presente. Sono, le une, curve che descrivono, ad esempio, la popolazione, i consumi, i fabbisogni, il tasso di disoccupazione giovanile; le altre, linee che definiscono, ad esempio, le risorse residue, lo spazio vitale a disposizione, i rendimenti in agricoltura, l’andamento del lavoro stabile. Basterebbe un colpo d’occhio per renderci conto delle priorità da mettere in fila per guardare al futuro. Altro che l’andamento dello spread, oscillante al batter di ciglio di un esponente della troika, o dei vincoli europei imposti da banche e poteri economici, che la politica e i governanti italiani annunciano quotidianamente di voler dribblare senza mai fare goal. Proviamo allora a tornare a discuterne: insieme!

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