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Chiesa

MIO FRATELLO

EDOARDO ZIN - 09/01/2015

mendicanteMezzogiorno della vigilia di Natale. C’è ressa sotto i portici di corso Moro. Tutti vagano per la strada: la meta è il negozio raffinato. Anch’io seguo la corrente: ho un appuntamento e sono in ritardo. Il marciapiede è stretto e sembra fatto apposta per confondermi.

Un poveretto mi segue, mi stende la mano, sussurra qualcosa. Non ho tempo e sguaiattolo tra la folla. Lui mi rincorre, chiedendo un obolo. Mi sento importunato, ma, più per levarmelo d’attorno che per commiserazione, gli allungo una moneta.

Dopo mezz’ora ripercorro a ritroso la stessa strada. Un aitante signore di mezza età – camicia bianca, cravatta, giacca di montone, cappello di feltro – sta prendendo il questuante per il nodo della sciarpa che gli avvolge il collo e gli grida in faccia: Non rompermi i c… Se mi infastidisci ancora ti dò un calcio nel c… e ti sbatto nel tuo paese m…!

La gente intorno va e viene, indifferente. I giovani del vicino bar continuano il loro happy hour. Mi fermo. Cerco, più con l’espressione del volto, che con le parole, di placare la rabbia dell’irato perbenista. La compagna, che ha seguito la scena in disparte, gli dice: Vieni via, altrimenti ti danno del razzista!

Il poveretto è visibilmente atterrito: gli occhi sbarrati risaltano sul nero volto, le pupille sono contornate di rosso. Mi avvicino a lui e gli dico due parole. Non capisce. Gli faccio cenno di sedersi su una sedia del bar, mentre vado a prendergli un cappuccino. Esco con la tazza in mano, ma il mio fratello è sparito…

Sì, è mio fratello! Non m’importa se è regolare o irregolare, clandestino o profugo, ricercato perché renitente o perché privo di documenti. Non m’interessa. È fatto anche lui di carne, a immagine e somiglianza di Dio. Come me. Come tutti. Come Cristo. Un conto sono le ciance, le idee, le regole, le leggi, un conto è l’uomo.

Rientrato a casa cerco un libro di poesie di Rocco Scotellaro. Leggo:

È bello fare i pezzenti a Natale
perché i ricchi allora sono buoni,
è bello fare il presepio a Natale
che tiene l’agnello
in mezzo al leone.

L’ultimo giorno dell’anno alla messa di ringraziamento in San Vittore, il prevosto dirà: Le domande che ci facciamo su quanto è accaduto nel corso dell’anno e che hanno affollato le cronache dovrebbero interpellare la coscienza per chiederci quale pensiero sia rimasto sull’uomo, sulla sua vita, sulla sua dignità.

Quand’ero ragazzino la predica del mio parroco all’ultimo dell’anno era un lunghissimo resoconto di comunioni, di battesimi, di funerali, di candele, di offerte alle Anime, alla Madonna, al transito di San Giuseppe, ai moretti, per la conversione degli infedeli, per le animette del limbo, per la rassegnazione delle vedove, per la conferenza di San Vincenzo…

Oggi la Chiesa ci chiede se “nei dodici mesi che sono trascorsi abbiamo avuto un’anima e se il tempo che verrà avrà un’anima. Perché l’anima è ciò che lo misura. È il respiro dell’umanità”.

Il prevosto non vuole fare l’elenco delle tragedie o di fatti, di pensieri anche positivi. C’invita a interpellare la nostra coscienza. Quanti i peccati di omissione? Quante volte siamo stati pronti a piangere sull’indifferenza altrui, ma non inclini a esaminare le nostre colpe? La nostra fede è salda? Come quella dei nostri fratelli costretti a lasciare case e affetti perché perseguitati? Come contare i fallimenti, gli affetti non corrisposti, i vivi sensi di colpa per i figli finiti male, i rancori da mitigare e perdonare?

“Pur in mezzo a tanti avvenimenti negativi e talvolta tragici è l’anima che ci permette di scorgere l’azione del Signore e ci consente di guardare avanti con speranza” – prosegue don Gilberto, che sta per lasciare il suo ministero di parroco.

Il pensiero corre al volto buono della città: ai volontari delle mense, a chi è puntuale ad ascoltare i detenuti, al prete che si china sui tossicodipendenti, a chi fa un tratto di strada con chi è nel dubbio, al medico che, non obbligato, presta cura ai migranti, al giovane che va ad imboccare l’anziana rimasta sola…

Non amo i riti sfarzosi, solenni, preferisco stare in silenzio tra le nude mure di un eremo, ma una volta all’anno voglio anch’io lodare Dio con corni, trombe e cembali, voglio vedere la basilica costruita dagli avi colma di gente, voglio udire e cantare inni, non dilatati da un’amplificazione opprimente o accompagnati da chitarre banalizzanti, voglio odorare il profumare dell’incenso, toccare un’ostia così consistente che ricorda il pane, gustandola con il vino che l’accompagna.

“Te lodiamo, Dio…” – intona con timbro chiaro il prevosto alla fine della celebrazione. Sì, vogliamo benedire il datore di tutti i doni in un inno di giubilo e di esultanza. Nella nostra lode chiamiamo in soccorso le schiere degli angeli, il coro degli apostoli, le voci dei profeti, la schiera dei martiri…

“Salva, o Signore, il Tuo popolo e benedici la tua eredità” – prosegue la corale. La preghiera divenga efficace nella storia d’oggi che continua quella di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, di Gesù, anche se nel cinismo quotidiano, nel succedersi degli eventi in cui sembra regnare il fatalismo! Dio ci salvi, ci doni la forza per sostenere le prove, ci mostri la sua clemenza, ci indichi lo stupore per contemplare le meraviglie che cerchiamo!

“In Te, Signore, è la nostra speranza” – risponde l’assemblea. L’indifferenza, il non-senso, l’irrilevanza del bene sono oggi i nostri nemici. Com’è possibile vivere nella speranza? Domani inizierà il nuovo anno e l’ingranaggio dei giorni ci spingerà a viverlo accettando le ricompense: il sorriso alla moglie alla quale porgiamo la tazzina del caffè, il profumo del pane fragrante, la parola buona del compagno di lavoro, la telefonata attesa, l’occhiata di sole tra le nuvole grigie. E assieme dovremo accettare i fardelli da portare, l’angoscia della solitudine, la fragilità, le debolezze, la fatica, le chiacchiere dei politici che meritano il potere solo se lo rendono più giusto.

Dove sarà il poveretto rigettato alla vigilia di Natale? La sua umiliazione, la miseria di tanti ricchi, la rassegnazione dei disperati, di coloro che sono defraudati anche del tempo saranno stanotte presenti nel cenone? La loro presenza striderà tra le tavole imbandite: chi manca di cibo, di casa, di lavoro, chiede giustizia, chi manca di amore, di relazioni buone, di affetti cari, spera di trovare lungo il cammino del 2015 dei cristiani che testimonino con gioia la loro fede. Non con un devozionismo privato, ma neppure con l’attivismo militante. Solo con una continua presenza che consenta il riconoscimento cristiano e che sia sprone per la conversione. Anche le colpe commesse interrogano a fondo la coscienza per iniziare sempre daccapo. È questa la speranza cristiana.

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